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Accordo De Gasperi – Gruber: il primo passo verso l’Europa così come la conosciamo

Settant’anni dopo l’accordo De Gasperi-Gruber, firmato il 5 settembre 1946 a Parigi, in molti sembrano ancora interrogarsi su quei primi sentori di un’Europa ai più sconosciuta e ancora incompiuta, che quel compromesso avrebbe successivamente mutato, dipingendone i primi tratti e dandone una prima forma.
Erano i tempi dell’Europa dominata dai nazionalismi, un tratto socio-politico tipico dell’Ottocento, in cui le grandi potenze si sfidavano a colpi di confini territoriali e spazi vitali.
Vitale era, ed è ritenuto ancora, quell’accordo (come pure lo statuto di autonomia) per le popolazioni interessate. Da una parte si sanciva la tutela della minoranza linguistica tedesca del Trentino- Alto Adige, a quei tempi composta in prevalenza da abitanti sudtirolesi di lingua tedesca, dall’altra si attuava l’assegnazione definitiva della stessa all’Italia, rivendicandone pertanto l’appartenenza territoriale e geografica all’interno della penisola italiana.
La Comunità a quei tempi non esisteva ancora e l’organizzazione degli Stati così come oggi l’intendiamo, sarebbe stata solo il “primo pilastro” di una successiva idea di unione sorta il 25 marzo 1957. L’ideazione, avvenuta grazie alla collaborazione dei sei stati fondatori quali Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi, nei trattati di Roma del 1958, diede vita effettiva alla CEE (Comunità economica europea), che segnò un passo in avanti rispetto alla CECA (Comunità europea del carbone e dell’acciaio) del 1951, con l’obiettivo di stabilire l’unione economica dei suoi membri, fino a un’eventuale unione politica.
Economia a parte, il trattato di Maastricht del 1992 ridefinì il nome della Comunità, battezzandola finalmente in CE (Comunità europea). Il secondo vero grande pilastro fondante che, con la successiva adozione del Trattato di Lisbona del 1° dicembre 2009, fece della semplice CE un organo istituzionale privo di singoli nazionalismi e, nella logica comunitaria, la rese quella che secondo i padri fondatori (tra questi proprio gli allora ministri degli Esteri italiano Alcide De Gasperi e l’austriaco Karl Gruber), potesse essere un organo comune in cui collaborare e circolare pur mantenendo le singole identità.
Ma a quel tempo le esigenze degli Stati si riflettevano nell’uso strategico dei confini, e dei diritti dei popoli spesso non si teneva conto. Proprio l’accordo di Parigi segna un punto di rottura con quest’espressione di nazionalismo esasperato, e il testo ce ne dà atto. Il riconoscimento e l’impegno nel concludere e facilitare il traffico e gli scambi frontalieri, così come di quelli locali, di determinate quantità di prodotti e merci tra l’Austria e l’Italia sono sinonimo – o forse simbolo – di un europeismo preannunciato.
Lo spirito dell’accordo riemerge in uno dei periodi più bui della storia e segna l’avvio definitivo ad una nuova politica, in un’era in cui la snazionalizzazione delle popolazioni era stata implementata dal governo fascista con una serie di misure e provvedimenti volti all’italianizzazione delle stesse. L’uso e l’insegnamento della sola lingua italiana e l’oppressione dell’identità etnica e culturale tedesca mediante il solo utilizzo di cognomi italiani, erano solo alcune delle tecniche utilizzate al fine di rivendicare la sovranità nazionale.
La fine dell’accentramento statale e l’autonomia concessa alle minoranze di lingua tedesca della provincia di Bolzano, così come dei vicini comuni bilingui della Provincia di Trento, si tramuta in garanzia nel riconoscimento della completa uguaglianza di diritti rispetto agli abitanti di lingua italiana, come riportato nel testo completo dell’accordo, nel quadro delle disposizioni speciali destinate a salvaguardare il carattere etnico e lo sviluppo culturale ed economico del gruppo di lingua tedesca.
L’Insegnamento della lingua madre e la parità di lingua negli uffici pubblici e nei documenti ufficiali, vengono ripristinati e sono solo alcuni dei tratti “salienti” del testo. L’uguaglianza dei diritti in un rapporto di buon vicinato tra i due Paesi – Italia e Austria – e l’equità concessa concludono uno degli accordi più significativi e ancora discussi per il nostro Paese, che segna un primo vero passo verso l’Europa così come la conosciamo.
Un’Europa tuttavia differente nei modi, ma non nei termini, che si ritrova a dover affrontare un tema storicamente sentito, quale quello del confine del Brennero, come punto saliente di tensione e divario di quelle culture forse ancora troppo differenti per un comune quieto vivere.
Una minaccia a quel sogno firmato Karl Gruber e Alcide De Gasperi che oggi si palesa soprattutto nella difficoltà ad interpretare quello statuto ricco di possibilità per le province di Trento e Bolzano, quanto per l’intera Regione. Un problema politico-culturale ben saldo nella cultura dei più, che ancora oggi risulta difficilmente risolvibile. Almeno nel breve termine.
di Giuseppe Papalia
 

Riguardo l'autore

giuseppepapalia

Classe 1993. Giornalista pubblicista, consulente di comunicazione per i deputati al Parlamento europeo, corrispondente da Bruxelles. Una laurea in scienze della comunicazione e una magistrale in giornalismo con indirizzo “relazioni pubbliche” all'Università degli studi di Verona. Ha collaborato con alcuni giornali locali, riviste di settore e per alcune emittenti televisive dalle istituzioni europee a Bruxelles e Strasburgo. Con TotalEU Production dal 2019, ho collaborato in qualità di social media manager e consulente di comunicazione politica.