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A Torino ci facciamo gli attentati da soli

Momenti di panico sabato sera in piazza San Carlo a Torino, mentre i tifosi della Juventus stavano guardando la finale di Champions League da uno dei maxi schermi. In uno dei video trapelati stamane dalla stampa, si vedrebbe un uomo a petto nudo con uno zaino nero in spalla creare il vuoto attorno a sé poiché con le braccia aperte nella tipica posizione che evoca quella di un kamikaze.

Insomma, se a London Bridge si verificavano tre diverse azioni in cui i terroristi colpivano, per l’ennesima volta, persone inermi, in Italia non avevamo bisogno di terroristi che ci facessero attentati. Riuscivamo anche da soli, con l’arma più potente a disposizione: quella della paura. 
Le cause del panico, suscitato probabilmente da un successivo scoppio di un petardo e dal cedimento della ringhiera di una scala di accesso al parcheggio sotterraneo della piazza, così come riportato in un secondo momento dall’agenzia giornalistica italiana, avrebbero amplificato il già delicato momento di psicosi generale dei tifosi, generando la fuga collettiva della folla. Travolgendo tutto e tutti.
Il bollettino, all’indomani del terribile episodio, parla di cifre da capogiro: 1.527 feriti, tra cui 8 sono tuttora in codice rosso. Un bambino è tra le persone in prognosi riservata: ha riportato un trauma cranico e fratture al costato. E non è il solo a versare in condizioni pessime. La gente, che ha iniziato a spintonarsi e a creare una calca attorno alle transenne, ha successivamente cominciato a correre lungo le vie limitrofe, e il fuggi fuggi generale ha generato un effetto a catena tale da non rendere possibile l’immediato intervento dei soccorsi.
Insomma, una serata di festa e sport rovinata da un fatto increscioso, talmente inverosimile da ricordare in qualcuno il terribile dramma dell’Heysel: l’episodio, avvenuto poco prima dell’inizio della finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool allo stadio Heysel di Bruxelles, in cui morirono 39 persone, di cui 32 italiane, e ne rimasero ferite oltre 600.
Questa volta il bilancio parla di una situazione differente, ma questo episodio deve farci riflettere: com’è stato possibile che un semplice tifoso, nel periodo storico in cui viviamo e con le misure di sicurezza ai massimi livelli, abbia potuto scatenare il panico tra la folla, generando quanto oggi è sotto gli occhi di tutti? Com’è possibile arrivare a far sembrare delle normalissime persone degli insignificanti birilli, che cadono come colpiti gli uni dagli altri, in sequenza, senza che nessuno possa fare nulla?
L’unica certezza, ad ora, è che gli uomini della digos e il pubblico ministero, Antonio Rinuado, che coordina l’indagine, stanno visionando centinaia di filmati con il serio intento di identificare i soggetti che possono sapere esattamente che cosa sia successo. Perché “la bravata”, così come dichiarato da due dei ragazzi portati in questura e interrogati, ad oggi non ha un colpevole. Certo, la Procura di Torino ha immediatamente aperto un fascicolo, ma senza prevedere per ora alcuna ipotesi di reato. Nemmeno quella di procurato allarme. 
Eppure qualcuno avrebbe gridato “Allah Akbar”, suscitando in molti quella terribile sensazione di essere in prossimità di un attentatore, come già in molte altre circostanze prima d’ora. Nella ricostruzione del prefetto e nei racconti di chi c’era, la dinamica dell’accaduto assume connotati assurdi e inammissibili per un sistema come quello nostrano in cui la sicurezza – soprattutto in manifestazioni di tale portata – dovrebbe essere la prima cosa.
Ma la cronaca ci racconta tutt’altro e di questo qualcuno dovrà risponderne. Certo, secondo il prefetto “il panico era ingovernabile”, ma il nome del colpevole va trovato e dovrà risponderne dinnanzi alla giustizia. Ammesso che ve ne sia ancora una.
di Giuseppe Papalia
 
 

Riguardo l'autore

giuseppepapalia

Classe 1993. Giornalista pubblicista, consulente di comunicazione per i deputati al Parlamento europeo, corrispondente da Bruxelles. Una laurea in scienze della comunicazione e una magistrale in giornalismo con indirizzo “relazioni pubbliche” all'Università degli studi di Verona. Ha collaborato con alcuni giornali locali, riviste di settore e per alcune emittenti televisive dalle istituzioni europee a Bruxelles e Strasburgo. Con TotalEU Production dal 2019, ho collaborato in qualità di social media manager e consulente di comunicazione politica.