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Anna Muzychuk, la campionessa che ha deciso di non indossare l’abaya

Anna Muzychuk, campionessa mondiale di scacchi per ben due volte, ha affermato che non parteciperà al torneo internazionale in Arabia Saudita perché il Regno tratta le donne come “creature secondarie”.
L’ha fatto con un post attraverso Facebook, in cui ha dichiarato: “Tra qualche giorno perderò due titoli da campionessa del mondo, uno per uno. E questo solo perché ho deciso di non andare in Arabia Saudita. Di non giocare attraverso le regole di qualcuno, di non indossare l’abaya (nella tradizione islamica, sopravveste femminile lunga fino ai piedi, generalmente di colore scuro), di non dover essere accompagnata da qualcuno per uscire. E soprattutto non ho intenzione di sentirmi una creatura secondaria”.
Il torneo internazionale di scacchi di Riad è iniziato lunedì e offre premi fino a 750mila dollari, ma per la sfida femminile la ricompensa si attesta sui 250mila. Una vera e propria discriminazione, che ha fatto emergere numerose polemiche circa le regole – oramai note all’opinione pubblica – adottate dai sauditi nei confronti delle donne.
Così, la 27enne che un anno fa ha vinto due titoli mondiali nel gioco degli scacchi, ha deciso di saltare l’evento per sostenere i suoi principi: “Sono pronta a sostenere i miei principi e saltare l’evento, anche se in cinque giorni di torneo avrei guadagnato come in una dozzina di eventi”, scrive sempre su Facebook, alimentando commenti di numerosi sostenitori anche tra chi non è solito seguirla.
Un fatto che tanto ricorda quello dell’ottobre del 2016, quando la scacchista georgiana-statunitense Nazí Paikidze boicottò i mondiali in Iran annunciando: “Non indosserò un hijab per non supportare l’oppressione femminile. Anche se questo significa perdere le competizioni più importanti della mia carriera”, aveva dichiarato in quell’occasione.
E di precedenti, nella storia contemporanea, se ne trovano differenti: sono numerose le leader, le giornaliste e le esponenti politiche che, di fronte alla richiesta di indossare il velo islamico, hanno rifiutato. Basti pensare a Oriana Fallaci, prima fervida sostenitrice della cultura occidentale e dei diritti delle donne in tutto il mondo ad aver intervistato l’Ayatollah Khomeini, ma anche – tornando a tempi più recenti – a Marine Le Pen, che il 2 febbraio del 2017 rinunciò all’incontro con il Gran Muftì. Scelta condivisa anche da Theresa May in Arabia Saudita, nell’aprile dello stesso anno, che ha deciso di non prestarsi alle indicazioni del Foreign Office di “indossare abiti discreti e non aderenti, come anche una mantella lunga (abaya) e un copricapo sulla testa”. 
E pensare che in questo caso il torneo, in contrapposizione al divieto degli scacchi voluto dal gran muftì Abdulaziz al Sheikh all’inzio del 2016 (divieto voluto anche dalla religione islamica), era per il principe ereditario Mohammed bin Salman un segnale d’apertura. Forse, anche in questo caso i tempi per questo rivoluzionario “progresso” non sono ancora maturi.
di Giuseppe Papalia
 

Riguardo l'autore

giuseppepapalia

Classe 1993. Giornalista pubblicista, consulente di comunicazione per i deputati al Parlamento europeo, corrispondente da Bruxelles. Una laurea in scienze della comunicazione e una magistrale in giornalismo con indirizzo “relazioni pubbliche” all'Università degli studi di Verona. Ha collaborato con alcuni giornali locali, riviste di settore e per alcune emittenti televisive dalle istituzioni europee a Bruxelles e Strasburgo. Con TotalEU Production dal 2019, ho collaborato in qualità di social media manager e consulente di comunicazione politica.