“Non c’è stata ondata nera al Parlamento”, affermano trionfalisti quegli stessi che facevano gli allarmisti. Vero, ma poteva mai esserci? I risultati finali alla Camera assegnano a CasaPound l’uno per cento, più precisamente lo 0,94, e ad Italia agli Italiani (ovvero Forza Nuova più Fiamma Tricolore) lo 0,38. Il totale fa 1,32.
Nel 2006 quando due partiti di estrema destra erano in proiezione parlamentare essi centrarono lo 0,7 con Alternativa Sociale (di cui faceva parte Forza Nuova) e lo 0,6 la Fiamma Tricolore (in cui si candidava CasaPound): 1,30 e spicci perché le cifre sono state arrotondate. Ovvero sempre la stessa percentuale, che è la massima a cui possa aspirare una forza elettorale così targata.
È vero che due anni prima, alle europee del 2004, il totale fu di 1,8 con lo 0,6 della Fiamma e l’1,2 di Alternativa Sociale ma allora la Mussolini aveva goduto di una sovraesposizione mediatica, esattamente come CasaPound in questa competizione. Tenuto conto della differenza di affluenti alle urne, le due sovraesposizioni hanno prodotto il medesimo risultato.
Un fallimento?
Dipende dai punti di vista. Se l’idea fosse, o magari sia, quella di scalare il Parlamento non c’è alcun dubbio che di fallimento si tratti e che di fallimento si tratterà.
Perché – vedete – altro è l’amore per Mussolini che moltissimi italiani provano e che si estende fino alla benevolenza nei confronti dei suoi giovani fedeli, altro è pretendere che votino quando non c’è Mussolini. Sarebbe come sostenere che siccome con Cristiano Ronaldo si vince il pallone d’oro e siccome io ho studiato le mosse di Cristiano Ronaldo e ne indosso la maglietta, m’ingaggeranno nel Real Madrid.
Lo stesso fascismo, poi, che in ogni caso è meno gettonato di Mussolini, aveva caratteristiche speciali: nasceva spontaneo e plurale dal ventre degli italiani, non rappresentava alcune tribu urbane o alcune comunità antagoniste che si lanciavano all’improvviso alla conquista della società con toni un po’ troppo enfatici, un tantino da fondamentalisti di religione minore, procedendo dai margini verso il centro come dei predicatori.
Questo non può ovviamente funzionare. Il che non significa assolutamente che allora non ci sia niente da fare, bisogna vedere cosa. Ognuno dovrebbe capire quale funzione è in grado di svolgere e come può agire in modo connettivo e strategico sulla politica e su quello che viene prima della politica e che genera la politica stessa.
Un discorso complesso eppur molto semplice che riprenderemo a giorni in modo più articolato.
Lo potrei anche descrivere qui ed ora ma non andrebbe affatto bene perché la modernite acuta richiede immediatamente formulette rassicuranti e io tutto voglio fare meno che rassicurare chicchessia. Semmai è tempo di dubbi, d’interrogazioni e di elettrochoc.
Voto tifoso
Potrei sostenere che il risultato deludente sia dipeso dalla sciagurata scelta d’inscenare una campagna antieuropea e anti-Euro sbagliata in sé, dettata dal Nemico di sempre e dalla nostra distrazione a causa della quale si ha almeno una decina di anni di ritardo sugli scenari che si denunciano; una distrazione tramite la quale il Nemico riesce a farci dire verità capovolte sfruttando la nostra totale buona fede. Comprendo che questo lo abbiano capito in pochi e che non sia stata un’obiezione frequente, ma, a prescindere da ciò, è stata una campagna penalizzante assai presso la totalità delle persone che sanno fare di conto e, per giunta, espressa con un fanatismo quasi religioso che allontana le nature equilibrate che pure dovrebbero essere le più ferme e proprio quelle a cui rivolgersi di preferenza. Questo fu in effetti ciò che rovinò Marine Le Pen – e Salvini che non è sciocco corresse subito il tiro – ma non ha avuto un grande peso ai livelli numerici di cui parliamo.
Qui la questione è antropologica e di colore: puoi dire quello che hai detto o il suo esatto contrario, a quest’altitudine non cambia perché è solo un voto tifoso.
Se i ragazzi – bravi tutti! – hanno preso milioni e milioni di applausi ma meno di cinquecentomila voti tra le due liste sommate non è dipeso da quella linea politica sciagurata che comunque si spera venga corretta quanto prima perché non fa piacere che si stia nel campo nemico pur senza volerlo. Il punto è un altro. C’è molta differenza tra la simpatia, il consenso, il sostegno e il voto. Si può avere la simpatia del 20% degli italiani, il consenso del 6-7%, il sostegno di tanta gente che firma per la tua lista, ti versa anche soldi ma non ti vota e poi c’è il voto che risponde ad altre caratteristiche. Alla caccia al voto, se lo si cerca anche fuori dal tifo, non si va senza una preparazione scientifica e senza una conoscenza che consentono di prevedere quale sarà il risultato conseguente e che spazio di manovra si ha per migliorarlo.
Se
Se fallimento c’è stato esso risiede in quest’approssimazione velleitaria e nel rifiuto di mettersi in rapporto con le categorie reali della politica per comprendere quali ruoli sono da svolgere, quali vesti sono da indossare e in che occasioni, quali obiettivi si possono centrare e come. E anche il perché: una domanda cruciale che non si pone più nessuno. Questo a destra, per definizione, manca ed è il motivo per il quale essa non vince mai, neppure quando vince perché non sa mettere a frutto le sue vittorie sempre effimere. Alla destra estrema questa carenza endemica si estremizza.
Fallimento quindi? Io direi che l’esperienza quotidiana dei militanti, l’allargamento dei contatti e dei consensi, offrono prospettive di vantaggi numerici e perfino economici (se non altro con le iscrizioni e il merchandising) alle formazioni che sono scese in lizza.
Se si pensa di eleggere qualcuno, però, la strada probabilmente non è quella.
Se si vuole semplicemente fare testimonianza ad ogni elezione, non fosse altro per non incorrere nella demonizzazione extraparlamentare, si dovrebbe iniziare a fare un ragionamento molto più articolato e, soprattutto, avere ben chiaro che la campagna ha un valore finalizzato ad altro e che non porta a Montecitorio.
Così fondamentale andarci? La questione è aperta e non la pongo sulla base di un purismo astensionista ma su quella di chi constata ancora e sempre la mancanza di strategia e d’impersonalità a causa delle quali, fatta salva la crescita umana di alcuni, all’atto pratico si resta sempre allo stesso punto.
Non è obbligatorio che sia così.