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Pensieri in Libertà

Moro e De Gaulle e la loro politica estera

Tra le letture di questi giorni si sono casualmente accavallate le figure di Moro e De Gaulle. Due uomini di Stato che videro stroncate le loro carriere, il secondo, la stessa vita, a causa delle loro politiche estere che infastidivano i potenti. Non sempre gli stessi, visto che i francesi ebbero poi un ruolo attivo contro il democristiano di Bari.
Leggendo le ricostruzioni storiche ad opera di Fasanella  ne Il puzzle Moro e di Jean-Marie Le Pen nelle sue Mémoires, salta agli occhi come in entrambi i casi i due alfieri di politiche internazionali interessanti e miranti l’uno all’indipendenza italiana e l’altro all’influenza francese, avessero per alleati interni uomini e ambienti disdicevoli, essendo loro interlocutori privilegiati i comunisti.
Contro le loro politiche interne – e quindi, giocoforza contro quelle estere – tutte le destre possibili e immaginabili. Le quali furono oggettivamente strumenti angloamericani e israeliani, ciononostante è difficile imputare loro la strenua opposizione all’entrata al governo dei comunisti, e sia detto questo al di là delle ideologie, tenuto conto della tempra umana di costoro a quel tempo. Non è lecito, enfatizzandone la politica estera, dimenticare la tempra umana e morale dei due politici che, in particolare per quanto riguarda De Gaulle, è contrassegnata da una serie di cinici e feroci tradimenti di tutti coloro che usò e gettò ignominiosamente senza alcuno scrupolo di coscienza, compresi gli ottantamila harkis e il numero imprecisato di pieds-noirs da lui consegnati proditoriamente al mattatoio.
In poche parole: a prescindere dalle linee di politica estera da essi promosse, fu cosa buona e giusta ostacolarne i progetti politici che erano inaccettabili. Non si può accettare di lasciare andare alla deriva moralmente e culturalmente la propria nazione solo per offrirle una possibilità geopolitica.
Fummo sprofondati in quest’antitesi angusta per cui si doveva scegliere se appoggiare una linea politica d’indipendenza ma facendo così sprofondare la propria nazione nell’abisso ideologico e morale oppure difendere il difendibile accettando però la nostra subordinazione internazionale.
Insomma: o peste o colera, o padella o brace.
Questo a causa dell’esito della guerra 1939-45 che fece saltare tutti i criteri di base, il buon senso e anche l’idea di Sintesi, quell’ Et Et che è la base stessa dell’intuizione fascista, addirittura esplicita in Germania, nazionale e socialista al tempo stesso.
Per fortuna negli anni di Moro e di De Gaulle le avanguardie del pensiero seppero tener fermo: si schierarono sì contro i loro consociativismi e i loro compromessi storici ma internazionalmente furono terceriste, con i non-allineati e sulle stesse linee di Moro (ma prima ancora di Mattei) e di De Gaulle. Poteva sembrare velleitario quel Né Fronte Rosso né Reazione eppure esprimeva una concreta possibilità.
Difficile trovare momenti  recenti in cui questo Et Et sia stato incarnato da qualcuno. Accadde con Craxi e con Kohl. Lo stesso Mitterrand, grandissimo sul piano del modello internazionale, fu però responsabile di molte derive culturali, sociali e politiche sugli scenari interni.  Anche se, a sua gloria, dobbiamo ricordare non poche cose di gran significato: dall’amicizia personale con Ernst Jünger alla riabilitazione di Salan e dei putschisti di Algeri, fino alla fioritura della tomba del Maresciallo Pétain e alla rivalutazione personale di Vichy (era stato decorato della Francisque). Il tutto culminato con le commemorazioni insieme, soldati francesi e tedeschi, della Grande Guerra.
Nell’attesa che si produca un nuovo Craxi o un nuovo Kohl ci ritroviamo oggi nella situazione di sempre. Nelle classi dirigenti scoviamo linee internazionali talvolta interessantissime che possono condurre perfino alla nostra rinnovata indipendenza in un’ottica europea e filotedesca. Però le linee ideologiche, culturali e morali e la stessa antropologia del campo europeista fanno drizzare i capelli in testa. La reazione populista, al netto della sua dilettantistica superficialità, è portatrice di sani anticorpi. Tuttavia, inchiodata alle consuetudini post-belliche, si spinge spesso e volentieri a tifare per gli americani  e gli inglesi e gli israeliani – cioè per i padroni di casa nostra – contro quelli che con essi in qualche modo confliggono.
Eppure esiste, eccome, la Terza Posizione: essere europei, profondamente europei, e filotedeschi,  per la linea eurasiatica e per quella eurafricana conservando il buon senso e opponendo quello che confusamente i populisti oggi ricercano al modello dominante delle élites illuminate.
Questo e non altro è il nostro ruolo: se non lo ricopriamo stiamo solo scivolando alla superficie della storia agitandoci come moscerini notturni intorno a una lampadina.