Per spiegare la scarsa visibilità delle belle notizie, un grande vecchio del giornalismo come Enzo Biagi affermava che «il bene non fa romanzo». Ma l’accoglienza sorpresa, fredda, quasi imbarazzata che i grandi media stanno riservando alla decisione di Trump di ritirare i soldati in Sira e di dimezzarli in Afghanistan ha un’altra spiegazione, a naso tutta ideologica. Potete difatti scommettere che l’avesse fatto quel fenomeno di Obama, un gesto simile, ora saremmo tutti in festa e a richiedere, per lui, un secondo Nobel per la pace, dopo quello consegnatogli a casaccio, sulla fiducia. Invece il colpaccio qui l’ha fatto il Biondo e allora nada, tutti zitti o, peggio, addirittura a criticarlo. Ma sì, dico sul serio. Controllate pure.
I giornaloni sono già lì a spiegarci che con questa mossa The Donald ha indotto alla dimissioni il capo del Pentagono, Jim Mattis (capirai che tragedia), spiazzato gli alleati della Nato, trascurato i curdi in Siria, imboccato la via dell’isolazionismo e, male supremo, incassato il placet di Putin. Se a ciò poi aggiungiamo la distensione avviata con la Corea, non c’è dubbio: Trump è proprio un ganzo. Perché pur detestato dal deep state, su cui molte parole illuminanti potrebbe dirvi un giornalista serio come il mio amico Roberto Vivaldelli, tiene la barra dritta, evitando a due anni dall’elezione di confermare gli Usa come gendarmi del pianeta. Dopodiché, cari orfani obamiani, se la pace vi fa così schifo, tenetevi pure il Nobel di cartapesta. Ce ne faremo una ragione.