Secondo le cheerleader del libero mercato le risorse sono scarse, la moneta è scarsa e lo Stato deve essere “minimo” (deve cioè occuparsi solo di alcune cose: difesa e controllo del territorio). Le ragioni profondamente ideologiche di questi capisaldi neoliberisti sono chiari: Stato minimo significa darwinismo sociale e dunque libertà per le élite di perseguire il profitto e la rendita sfruttando le masse dei diseredati, senza preoccuparsi troppo della loro sorte.
Ora, se ciò è indubbiamente vero, gli stessi neoliberisti, organici alle élite, cercano di imporre l’idea che non debbano esserci frontiere fra gli Stati e che ognuno debba essere libero di spostarsi da un punto all’altro del globo. In altre parole, propalano l’ideologia no-border. Ergo, l’immigrazione economica di massa. Guarda caso, dai paesi poveri ai paesi cosiddetti ricchi. Guarda caso, dall’Africa ai paesi dell’Europa, dove esiste un welfare solido, basato sulle Costituzioni post-belliche.
Domanda… anzi domande: qual è la ragione di questa imposizione? Che relazione potrà mai esserci tra l’immigrazione di massa, basata sull’ideologia no-border, e il welfare occidentale? Per quale motivo le élite spingono perché non esistano confini tra gli Stati occidentali (europei)?
Ebbene la risposta è semplice: se teniamo presente che il welfare è l’ascensore sociale verso il benessere diffuso, che si realizza attraverso l’intervento dello Stato nell’economia e la realizzazione del principio di uguaglianza sostanziale, è chiaro che le élite siano estremamente interessate a demolirlo, e l’ideologia no-border è un ottimo strumento per raggiungere lo scopo, che però – beninteso – necessita di un lavoro ulteriore, ideologico, culturale e normativo, sulla società “vittima”, la quale, in altre parole, deve convincersi che: a) le risorse e il denaro siano effettivamente scarsi (lo Stato è come un padre di famiglia); b) qualsiasi politica che cerchi di fermare l’immigrazione di massa sia da considerare razzista e xenofoba.
Ecco. Una volta raggiunto lo scopo di rendere effettivamente scarso il denaro e le risorse, e convinti i cittadini che effettivamente questi lo siano, e una volta convinti gli stessi cittadini che opporsi attivamente all’immigrazione economica di massa significhi essere xenofobi e razzisti, l’obiettivo di demolizione del welfare è a portata di mano delle élite. Infatti, non esistendo più una azione politica in grado di ostacolare l’ingresso massivo di immigrati economici nel territorio nazionale e facendo accedere costoro al welfare, questo nel tempo è destinato a diventare insostenibile (grazie ai vincoli monetari che rendono scarsa la moneta), tanto che i cittadini inizieranno a domandarsi “spontaneamente” (una spontaneità particolarmente indotta!) se non sia opportuno disfarsene: niente tutela del lavoro, niente tutela delle pensioni, niente assistenza sanitaria gratuita, niente istruzione gratuita.
Vittoria dei neoliberisti e delle élite. Una volta che non esistono più frontiere e l’immigrazione economica diventa di massa e non selezionata in ragione delle esigenze economiche e della tenuta sociale della comunità ospitante, il welfare è destinato necessariamente a soccombere sotto il fuoco incrociato dei neoliberisti (che lo dipingono come troppo costoso) e dei cittadini (che percepiscono l’uso del welfare da parte degli immigrati un’ingiustizia nei loro confronti). Le élite neoliberiste così ottengono diversi risultati: disinnesco dei diritti sociali (o un loro forte ridimensionamento), disciplina nelle fabbriche, tutela delle rendite finanziarie (lo Stato che non interviene nell’economia non genera inflazione), rottura della coesione sociale e nazionale, conflitti multietnici, razzismo, ghettizzazione, deflazione salariale e, dulcis in fundo, il dominio effettivo sulle dinamiche politiche, ciò poiché (al contrario) solo nel riscatto economico e sociale, il lavoratore può effettivamente partecipare alla vita pubblica; diversamente ne è solo vittima-spettatore. Ed è ciò che vogliono le élite.