Il primo punto del programma proposto dal M5S per la formazione di un governo con il Pd, è la riduzione del numero dei parlamentari.
Abbiamo già scritto dell’irrilevanza di questa riforma, sia in termini di risparmio, di efficienza e di rappresentanza istituzionale (QUI). E quindi QUI (precisa ADUC).
L’Italia ha un debito pubblico di 2386 miliardi; una crescita dello 0,1%; 150 crisi aziendali che coinvolgono 250 mila addetti; uno spread che solo quest’anno ci è costato 1,5 miliardi di interessi in più; le industrie del nord che si troveranno in difficoltà a causa della crisi tedesca; 23 miliardi da recuperare, per non far aumentare l’Iva nel 2020, e altri 28 miliardi per il 2021; 10 mila società partecipate pubbliche da sfoltire, 118 miliardi per investimenti infrastrutturali attivabili subito (Tria dixit); una burocrazia asfissiante, 107 miliardi di evasione fiscale e contributiva da recuperare, ecc.
Potremmo continuare, ma ci fermiamo qui.
Dopo quanto elencato, e del lavoro imponente da fare, che cosa chiede il capo politico del M5s, Luigi Di Maio, come punto prioritario di un eventuale governo giallorosso?
La riduzione del numero dei parlamentari! Ma dove vive costui?
Sappiamo, però che il capo politico del M5S è uso a cambiare idea e, perciò, confidiamo che lo faccia anche in questa occasione.
D’altronde ne ha dette di tutto e di più contro Salvini, prima delle elezioni, per poi allearsi e farci un governo, ha accusato il presidente Mattarella di attentato alla Costituzione per poi elevarlo a garante della Costituzione, ha classificato il premier Conte come notaio cui far registrare le decisioni prese altrove, per poi promuoverlo a “perla rara”, ha bollato il Pd come “partito del male dell’Italia”, per poi dichiarare che “il nostro primo interlocutore è il Pd”.
Dunque, Di Maio dovrebbe cambiare idea, evitare la perenne campagna elettorale, rimboccarsi le maniche e affrontare i problemi dell’Italia. Il fumo lo lasci ad altri.