Tutti contro Giggino che, da capo politico del Movimento 5 Stelle, osa tentare di evitare di ridurre il suo partito ad una riedizione della buffonata di Alfano, un cespuglietto del centrosinistra.
In ballo ci sono le elezioni regionali in Emilia-Romagna ed in Calabria e, soprattutto, i sondaggi che evidenziano come il Pd perderebbe la roccaforte rossa senza un accordo con i pentastellati.
Già, ma il povero Di Maio non guarda solo ai sondaggi complessivi. Lui scorre anche quelli relativi al suo Movimento. E scopre che l’alleanza stabile, anche a livello locale, con il Pd conduce inevitabilmente alla scomparsa dei 5 Stelle. Ovvio che a Zingaretti non interessi, ovvio che il bugiardissimo Renzi possa festeggiare, abbastanza scontato che Beppe Britannia se ne freghi perché interessato ormai solo a pagare il prezzo per le vicende giudiziarie del figlio. E normalissimo che se ne freghi anche Fico, ultrasinistro d’antan prestato per sbaglio ai 5 Stelle.
Ma Di Maio non può ignorare la prospettiva della dissoluzione. Come non la ignora il desaparecido Di Battista, uscito dalla scena pentastellata in concomitanza con la suicida alleanza con il Pd. E non la ignorano i media di servizio che si sono scatenati contro Giggino, fomentando la base pentastellata affinchè si liberi di un leader che non si prostra davanti a Zingaretti. Perché la gauche caviar non può perdere l’Emilia Romagna: un simbolo per il Pci ed ora per il Pd e la sinistra tutta.
Molto più della Calabria dove il Pd vuole l’appoggio del Movimento 5 Stelle per sostenere la candidatura dell’ex presidente della Confindustria locale. Perché i compagni industriali sono ormai il faro della sinistra di governo. Basta con i lavoratori, che puzzano e non hanno neppure un maglioncino di cashmere; basta con i poveri che non possono permettersi le vacanze a Capalbio. E poi ci pensa Forza Botulino a cercare di imporre al centrodestra un candidato imbarazzante che possa essere sconfitto con facilità.
Ma in Emilia Romagna no, non si può rinunciare ad un governo del centrosinistra allargato ai 5 Stelle. A costo di obbligare Giuseppi Conte a scendere in campo direttamente con il codazzo dei leader di tutta la coalizione, da LeU a Renzi passando per Bonino, Zingaretti e Di Maio. La bandiera del Pd non può essere ammainata. Con il rischio che emergano nuovi casi Bibbiano senza più la protezione della politica locale e nazionale.