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Da UE fondi per “corsi educativi pro-gender” per i più piccoli

Nelle scorse settimane il Parlamento Europeo ha approvato con 500 voti favorevoli e 91 contrari la ratifica della “Convenzione sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne”, nota anche come Convenzione di Istanbul. Questa notizia passata inizialmente in secondo piano per via delle continue polemiche sul MES, nasconde però dei particolari allarmanti.

Se da un lato “la prevenzione e la lotta alla violenza sulla donna” è un argomento molto serio ed importante ed è sacrosanto che l’Europa voglia investire risorse per risolvere definitivamente il problema delle violenze di genere, dall’altro preoccupano, e non poco, alcune iniziative che vengono evidenziate da una lettura più approfondita del testo stesso della Convenzione.

L’Europa per questa Convenzione, ha disposto finanziamenti per 193.6 milioni di euro (come denunciato anche dal giornalista e intellettuale Marcello Veneziani sul suo blog), una cifra considerevole per il solo contrasto alla disparità di genere.

Infatti analizzando nello specifico il testo, è risultato abbastanza evidente fin da subito come tali fondi non siano stati stanziati solamente per il contrasto alle violenze di genere, o meglio; il Parlamento Europeo per cercare di arginare questo annoso fenomeno ha previsto che vi siano “azioni necessarie per includere nei programmi scolastici di ogni ordine e grado dei materiali didattici su temi quali la parità tra i sessi, i ruoli di genere non stereotipati”. Avete capito?

In pratica, secondo il Parlamento Europeo, per contrastare la violenza sulle donne sarebbe primario “inculcare” nei giovanissimi il concetto di “ruoli di genere non stereotipati”. Come se distinguere tra “Uomo e Donna”, tra “Mamma e Papà”, tra “Nonno e Nonna” avesse una minima influenza sul modo di percepire l’uguaglianza dei bambini rispetto a termini “non stereotipati”.

Peccato che forse i più giovani andrebbero educati al rispetto di tutte le persone, a prescindere dal loro genere, dalla loro sessualità, dal loro credo religioso e dagli stereotipi che si sono creati intorno alle varie differenze che contraddistinguono chi appartiene alla società moderna. In questo modo le nuove generazioni crescerebbero consapevoli dell’importanza delle diversità che ci caratterizzano, imparando non solo a non averne paura ma anche e soprattutto ad apprezzarle e rispettarle, come dovrebbe essere in ogni società civile.

In questo modo, educando le nuove generazioni al rispetto “aprioristico” di ogni persona, non vi sarebbe più la necessità di preoccuparsi della stereotipizzazione o meno di una determinata categoria di persone ma ci si potrebbe concentrare su temi ben più attuali, consapevoli di aver contribuito a creare una società migliore.

Carlo Alberto Ribaudo