Mi rivolgo alle non numerose persone intelligenti, centrate e preparate che si trovano qua e là in un’epoca di idiozia cosmica.
A loro rivolgo questa riflessione sulla crisi emersa con l’assassinio di Suleimani e le minacce di Trump. A loro, dico, perché un’analisi dev’essere disincantata, scevra da sensazionalismi pregiudiziali e da semplificazioni da stadio.
E dev’essere un’analisi complessiva, centrata, che ponga in primo piano i nostri interessi di popoli europei in cerca di emancipazione dall’imperialismo angloamericano, e non una logica alter/globalista che considera il mondo come uno scenario indifferenziato nel quale far prevalere questo o quel fondamentalismo ideologico, economico, religioso.
Ecco i dati su cui ragionare.
L’atto banditesco americano non è nuovo. Esattamente settantotto anni fa il Cancelliere tedesco aveva ammonito che, in caso di perdita della guerra da parte dell’Asse, il mondo sarebbe finito preda del gangsterismo organizzato, cosa che è puntualmente avvenuta. Quelli che definiscono gli altri “stati canaglia”, sono finora i soli ad avere usato le atomiche e il napalm contro le popolazioni civili e sono tra i più brutali e crudeli al mondo come leggi e sistemi penali.
Gli interessi che gli americani perseguono con l’assassinio sono diversi.
Intanto, dopo l’assalto yemenita con droni iraniani agli impianti petroliferi sauditi dello scorso settembre, la credibilità americana era andata in pezzi e ci si attendeva una qualche reazione da un momento all’altro.
Inoltre, dopo il disimpegno in Siria, con la regionalizzazione della crisi, Trump aveva detto chiaramente d’interessarsi all’Iraq, dove i pozzi sono ben importanti, e il suo atto mafioso d’inizio anno offre il destro a un invio di ulteriori forze nel paese, concedendo peraltro soddisfazione al partito della guerra nell’anno decisivo per il proprio avvenire politico.
Infine, la tensione alzata nelle direttrici della Via della Seta, offre alla Casa Bianca la possibilità di unire bastone e carota nella trattativa con la Cina, immaginata in chiave duopolistica mondiale.
Di converso crea complicazioni ai russi e in particolare agli europei, interessati nel nucleare iraniano, e li esclude di fatto dal tavolo dei decisori.
Se russi ed europei non si accordano sono entrambi condannati all’irrilevanza. Il gigante economico-diplomatico europeo, strategicamente disarmato, e il titano militare russo, economicamente nano (ha il pil appena appena superiore a quello della Spagna), verranno risucchiati dai due poli e soffocati definitivamente.
C’è poi l’interesse “grande-israeliano”, ovvero volto all’espansione tra il Nilo e l’Eufrate.
La regionalizzazione del conflitto siriano, successiva all’implosione irachena, ha prodotto due grandi players locali, Turchia e Iran. Oggi si creano i presupposti per una loro rivalità che potrebbe sfociare anche in conflitto aperto. Se quest’ultimo fosse rovinoso, gli israeliani potrebbero in futuro invadere le terre che reclamano.
Ultima ma non ultima la creazione di uno status bellico che potrebbe degenerare in una guerra generalizzata di ampie proporzioni, con centinaia di milioni di morti. Potrebbe essere l’ultima ratio di una ripresa economica che al momento appare impossibile. E questo senza chiamare in causa follie escatologiche da eletti, stile “Gaia”.
Per tutte queste ragioni non possiamo non rigettare l’azione americana e non sentirci allineati con il fronte del rifiuto e, in modo razionale, distaccato e condizionato, con l’Iran aggredito.
Mi riferisco alle non numerose persone intelligenti, centrate e preparate e non a quelli che il mondo è in preda a un delirio binario (Usa – AntiUsa) o che per ragioni che a me sfuggiranno sempre sono affascinati dalle teocrazie.
In quanto all’Iran bisogna rimanere estremamente freddi.
Si tratta di una potenza regionale che ha impugnato la causa religiosa sciita per scopi imperialistici. In questo ha preceduto ampiamente la dottrina del Pentagono sullo scontro di civiltà e il successivo impegno wahhabita nella creazione delle milizie salafite. Non è quindi innocente.
L’Iran ha giocato cinicamente con Israele e Usa contro Baghdad, cercando di scardinare il regime socialnazionale e l’integrità del paese con la guerra di religione. Come ha rivelato l’Irangate, si è fatto armare da americani e da israeliani. Nel 1979 ha addirittura ritardato sotto sollecitazione israeliana il rilascio degli ostaggi americani per facilitare la non rielezione di Carter.
Per decenni è stato il principale rifornitore di petrolio di Israele, mediante una triangolazione formale in Olanda. E se qualcosa non è cambiato negli ultimi cinque anni, è plausibile che lo sia ancora. In Palestina ha sospinto la causa islamica a discapito di quella nazionale e, nella creazione di Hamas, ha agito parallelamente a Israele e con il medesimo interesse.
In Iraq si comporta come la potenza dominante in un paese occupato.
Con la venuta meno dei blocchi di Yalta, tutti i players hanno ripreso a muovere come prima del 1945, con situazioni completamente diverse a seconda degli scenari.
In Libano e in Siria gli interessi iraniani si sono sposati con quelli sciiti locali che, a differenza di quanto accadeva e accade in Iraq, erano e sono quelli di cooperazione inter-etnica e inter-religiosa per la difesa delle integrità nazionali.
In quegli scenari la causa iraniana è apprezzabile. Il che non significa che altrove (Iraq e Palestina) non sia detestabile. E viceversa.
Tra l’altro con Hezbollah il contingente italiano in Libano coopera fattivamente (spiegatelo a Salvini) ed è indiscutibile che sia un soggetto di solidità e perfino di pace.
Per tutte queste ragioni il posizionamento, da italiani ed europei, dev’essere contro l’aggressione americana e a difesa della causa siriana e libanese. Senza dimenticare nulla, senza esimerci dal ricordare che gli iraniani in Iraq sono degli invasori che sostengono un governo partigiano e fantoccio e che, quando finiscono nei guai in quello scenario, si ha la sensazione che sia intervenuta in qualche modo la Nemesi.
Il tutto onorando comunque la figura di Suleimani, che è figura di guerriero. Il tutto ponendo soprattutto al centro il nostro interesse europeo. Il resto lasciamolo agli imbecilli.