Per Paolo Mieli la fortuna di Bonaccini è stata la mancata venuta in Emilia-Romagna da parte degli esponenti del governo e dei vertici del Pd nazionale.
Il presidente regionale ha voluto puntare sul voto locale, ignorando gli aspetti nazionali od internazionali. Perché alle elezioni regionali si vota per il governo del territorio. Una scelta opposta rispetto a quella compiuta da Matteo Salvini e dalla Borgonzoni che hanno insistito sulle ricadute nazionali ed hanno agitato temi di carattere internazionale.
Ma agli emiliani ed ai romagnoli poco interessa se Borgonzoni dichiara di avere una “cultura giudaica” (senza spiegare cosa significhi in concreto); poco interessa se Salvini si prostra davanti a Trump e fa confusione sulle vicende del Vicino Oriente. Interessano gli errori commessi dalla giunta Bonaccini in merito ai bandi per i giovani agricoltori.
E poi, al di là degli inevitabili errori, il governo di Bonaccini è stato tutt’altro che negativo. Si poteva fare di meglio, ma altrove si è fatto decisamente di peggio. Anche al Nord, basti pensare al Piemonte a guida Pd.
In compenso Salvini difficilmente poteva fare di peggio nella sfida emiliano romagnola. Ma è dalla scorsa estate che il leader della Lega ha smesso di azzeccare le mosse. Certo, il centrodestra ha vinto in Calabria, ma era stato proprio il centrodestra a trasformare l’Emilia Romagna nel territorio di sfida decisivo. La spallata che avrebbe dovuto abbattere il potere rosso in Emilia-Romagna non c’è stata e, di conseguenza, non c’è stata la spallata per abbattere il governo nazionale.
Niente elezioni anticipate, il governo debolissimo si rafforza grazie agli errori dell’uomo solo al comando, privo di una squadra all’altezza delle sfide lanciate dal leader. Non si può pensare di governare l’Italia allineandosi agli ordini di Confindustria o di Tel Aviv.
Per di più il voto in Emilia-Romagna dimostra che la Lega può contare su un solo alleato, Fdi. Che ottiene un risultato inferiore al dato indicato dai sondaggi a livello nazionale, ma comunque per nulla disprezzabile. Sparisce al Nord invece Forza Italia, ormai quasi inutile anche come ruota di scorta. Probabile che sia Giorgia Meloni, più che Salvini, ad attirare i superstiti di quello che fu il grande partito berlusconiano. Oppure qualcuno sceglierà di confluire sotto le bandiere di Renzi e Calenda. Ma si apre uno spazio a destra, in quella che era la destra sociale e radicale che non si sente rappresentata dal moderatismo del nuovo corso di Fdi. Peccato che non ci sia nè un partito nè un leader per raccogliere questa eredità e per creare una forza in grado di condizionare il centrodestra.
A sinistra, invece, si respira. Facendo finta che in Calabria non si sia votato. Facendo finta che Bonaccini non abbia voluto evitare di essere mescolato con Zingaretti, con Conte. I problemi restano, ma almeno si può respirare. Ora si può tornare a litigare con Renzi e con i 5 Stelle. Che non contano più nulla, spazzati via in Emilia-Romagna ed in Calabria. È finito il tripolarismo, grazie a Grillo e Di Maio, il Pd è in ripresa e può tornare a contare davvero.
Augusto Grandi