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Home Lettere al Direttore Coronavirus: altro che Immunità di Gregge
  • Lettere al Direttore

Coronavirus: altro che Immunità di Gregge

Con la falsa quarantena si è permesso di infettare il Sud Italia per salvare i padani.

Di
redazione
-
14 Marzo 2020
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    I media prezzolati e nordisti a criticare l’immunità di gregge, per giustificare le scelte del Governo italiano.

    Perché si obbliga la quarantena della reclusione in casa con relative sanzioni penali e poi si agevola la fuoriuscita criminale dalla zone rosse del settentrione degli infettati, permettendo loro la mobilità verso il sud?

    Scientemente si è diffuso il contagio dell’epidemia nel sud Italia? Perché?

    Il virus si può combattere in due modi: il primo è il metodo cinese e nei fatti, anche se messo in atto con ritardo ed incertezze, anche il metodo italiano. Un metodo che si basa sull’isolamento delle aree urbane, o comunque dei territori, dove la malattia imperversa, e che determina il crollo della possibilità di avere contatti sociali, limitando in questo modo la circolazione della malattia.

    Esiste poi un secondo metodo che è sicuramente meno “prudente” ma in presenza di determinate condizioni potrebbe essere più efficace delle quarantene. Il secondo metodo consiste nel far circolare liberamente il virus, far si che infetti rapidamente gran parte della popolazione ed raggiungere, dopo circa 3/4 mesi La cosiddetta immunità di gregge.

    Un termine importante è la Curva appiattita. Questa è un qualcosa di non concreto, ma importante. Si tratta di spalmare il numero di contagi più in là nel tempo grazie ai vari interventi fatti. Se si lasciasse proseguire il contagio libero, quest’ultimo presenterebbe un picco molto più grande, ma in poco tempo. Il problema di lasciarlo libero è che si crea una pressione eccessiva sul sistema sanitario e altri collegati. Si diluisce il contagio per favorire il suo decorso. Moltissimi contagiati, in pochissimo tempo e, anche se la letalità fosse bassissima, le vittime potrebbero essere tantissime (su grandi numeri, anche una piccola percentuale è in ogni caso numerosa).

    Questo, a prescindere dalla gravità dei sintomi della malattia, oltre a fare vittime, sovraccarica le strutture sanitarie. Migliaia di persone si riversano al pronto soccorso, centinaia di ricoverati, tanti in rianimazione. Serve personale, farmaci, posti letto, macchinari. Quando questo succede in sei mesi (come per l’influenza) si riesce a sopportare l’impatto (e supportare tutti), quando questo avviene in un mese potrebbe far crollare tutto. E poi diventa una reazione a catena.

    Se i reparti di rianimazione fossero pieni di pazienti con polmonite da Coronavirus, non potrebbero ricevere persone in insufficienza renale, con un infarto, chi ha avuto un incidente, una donna che ha avuto un’emorragia post partum, un uomo che ha avuto un ictus con conseguente diminuzione dell’assistenza, delle cure e quindi un aumento senza precedenti della mortalità e delle complicanze, oltre che un peggioramento improvviso e pesante del livello delle cure.

    L’Italia disponeva un tempo di molti più posti letto di terapia intensiva, sub intensiva e di degenza ordinaria. Poi vennero le “razionalizzazioni”, le cure dimagranti, i tagli alla sanità. Benvenuti nell’era dell’austerità.

    Togliamocelo dalla testa: l’attenzione all’epidemia di coronavirus non è dovuta alla sua letalità quanto alla capacità di far «saltare» il nostro sistema sanitario. La spiegazione è nelle parole di Massimo Galli, primario infettivologo dell’Ospedale Sacco di Milano, in un’intervista rilasciata a Corriere della Sera il 23 febbraio 2020: «In quarantadue anni di professione non ho mai visto un’influenza capace di stravolgere l’attività dei reparti di malattie infettive e delle rianimazioni di un’intera regione tra le meglio organizzate e preparate alle emergenze d’Italia. Nessun sistema sanitario avanzato può essere predisposto per ricoverare tanti pazienti critici tutti assieme e per di più in regime di isolamento».  Alle 18 di ieri infatti, dei 2052 casi confermati, circa l’8% è in terapia intensiva e il 36% è ricoverato con sintomi. Anche se il rischio di contrarre la malattia nella popolazione, soprattutto al di fuori dei focolai, rimane basso, la diffusione del virus va rallentata per evitare che questo rischio aumenti con il conseguente collasso degli ospedali. Più persone si ammalano – e nella maggior parte dei casi il decorso è benigno – e più individui necessiteranno di ricovero.

    Conclusione.

    Hanno infettato il Sud per spalmare su tutta l’Italia e le relative strutture sanitarie il picco del contagio e salvare, curandoli, così, quanto più Padani.

    Dr Antonio Giangrande

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