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Censura “alla giapponese”: sabotaggi, controllo e bugie

Ci sono molti modi di esercitare la censura. C’è chi uccide i giornalisti, chi li mette in galera, chi li minaccia, chi li infanga, c’è la querela temeraria. Poi c’è il metodo alla giapponese, in cui le minacce sono un contorno lasciato agli estremisti di estrema destra, ma il piatto principale è un coacervo di regole arbitrarie, di delimitazione dello spazio di lavoro alla cerchia dei reporter “amici”, o quanto meno non ostili, di sabotaggi fatti di interruzioni e risposte laconiche e rituali durante le conferenze stampa ufficiali.

A raccontare questo mondo è l’ultimo documentario firmato da Tatsuya Mori, “I-Documentary of the Journalist” (“i-shinbunkisha dokyumentary”) presentato in anteprima nella seconda giornata del Far East Film Festival (FEFF), uno dei principali appuntamenti dedicati al cinema asiatico che quest’anno, a causa della pandemia COVID-19, non si svolge a Udine, ma completamente sul web.

Protagonista del documentario è Isoko Mochizuki, una determinata giornalista del quotidiano Tokyo shimbun, oggetto di di un sabotaggio spietato da parte dello staff del capo di gabinetto – portavoce del governo nipponico – Yoshihide Suga. La scena della giornalista che, durante le conferenze stampa ufficiali del governo, viene interrotta dalla monotona e irritante voce di un collaboratore fuori campo del capo della comunicazione dell’esecutivo ogni pochi secondi, è una delle cose più bizzarre, divertenti e urticanti del film.

Nel documentario è anche presente l’inviato italiano di SkyTg24 Pio D’Emilia, che ha collaborato alla sceneggiatura. Uno dei momenti più intensi è, verso la fine, quando da lontano Mochizuki e Suga si scrutano, mentre il politico seguito da un codazzo di sostenitori va via da un comizio. Le soggettive dei due rivali, nell’economia della scena, sono particolarmente intense.

Mori è un documentarista e scrittore esperto e apprezzato, che ama mettere le mani nella carne viva della cronaca. Nel 1998 e nel 2001 girò due controversi documentari dedicati alla setta religiosa Aum Shinri-kyo (A e A2), che nel 1995 aveva condotto i mortali attentati al gas nervino nella metropolitana di Tokyo. Poi si è occupato anche dello tsunami dell’11 marzo (“311”) e ha firmato nel 2016 un documentario (intitolato “Fake”) sull’incredibile storia di Mamoru Samuragochi: il compositore sordo considerato il Beethoven giapponese, finché non si scoprì che le sue composizioni erano state scritte un ghostwriter e che non era neanche sordo.

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Secolo Trentino