Oltre 400 miliardi di dollari di investimenti complessivi in Africa negli ultimi 20 anni. Piaccia o non piaccia, con la Cina occorre fare i conti non solo nei rapporti bilaterali ma anche in rapporto alle iniziative di Pechino nel resto del mondo. E, in effetti, l’Italia i conti aveva pure iniziato a farli, grazie a Michele Geraci, ex sottosegretario allo Sviluppo economico nel governo giallo verde.
“Si è parlato molto della Via della Seta – ha spiegato intervenendo al workshop del think tank Il Nodo di Gordio a Montagnaga di Pinè – ma in realtà l’accordo più importante che abbiamo sottoscritto riguarda la cooperazione tra le aziende italiane e cinesi nei Paesi terzi“. A partire dal Medio Oriente e appunto dall’Africa. Un’Africa che, grazie agli aiuti cinesi – ovviamente concessi non per generosità ma per scopi economici – ha finalmente iniziato a vedere una rapida diminuzione del tasso di povertà. Certo non a ritmi cinesi perché, come ha ricordato Geraci, il tasso di povertà in Cina è crollato dall’80 al 10%. Con un Pil che è cresciuto per 40 anni ad una media del 9,5% annuo.
Il modello di intervento di Pechino in Africa potrebbe essere particolarmente interessante proprio per l’Italia, se al governo qualcuno sapesse dell’esistenza dell’Africa e della Cina. Un modello estremamente articolato, differente a seconda dei Paesi. Come ha sottolineato Marco Cochi, country analyst del Nodo di Gordio, Pechino ha stipulato accordi bilaterali con 53 dei 54 Stati africani. Accordi diversi, con l’Etiopia – dimenticata dall’Italia – come Paese dove applicare quasi integralmente il modello di sviluppo adottato in Cina con il trasferimento degli abitanti dalla campagna alle città mentre, in altri Paesi, si sono preferiti mega investimenti in infrastrutture, oppure si è puntato sui prestiti, si sono fondate o acquistate aziende. Cochi ha aggiunto che sono stati avviati 12mila progetti interculturali, ma nelle grandi società miste sono rarissimi i dirigenti africani mentre continuano ad aumentare i lavoratori cinesi, già oltre il milione.
Ha dunque senso ignorare una realtà sempre più vicina? Ha senso opporsi invece di scegliere la strada di accordi che tutelino gli interessi italiani? La Via della Seta non collega solo Cina e Italia, ma anche una miriade di Paesi posti lungo la Via. I principali porti europei crescono con investimenti cinesi, ha senso rifiutare gli investimenti in Italia per la paura di non saper gestire la situazione? La Via della Seta si farà comunque, meglio approfittarne invece di richiudersi in una sterile indignazione.