I media di servizio, soprattutto quelli italiani, avevano assicurato con lacrime di felicità che l’elezione di Joe Biden avrebbe riportato l’Europa nel ruolo di fedele ancella di Washington. D’altronde il servilismo italiano non è certo una novità ed il ruolo subalterno della politica romana è noto in ogni parte del globo. Però l’Europa non è solo Roma e la politica estera continentale non è (per fortuna) quella di Giggino Di Maio.
Così, mentre il pupazzo statunitense sta per insediarsi alla Casa Bianca per la felicità dei suoi pupari, Angela Merkel gioca d’anticipo e sigla nuove intese con Pechino. Mantenendo la schiena dritta, non chinandosi come han fatto Giggino ed il lìder minimo con Haftar. Perché anche lo stile ha la sua importanza e, pure sotto questo aspetto, la politica estera italiana riesce sempre a fare pessime figure.
Così i rapporti verso Est devono passare attraverso Merkel, così come i rapporti con l’Africa non possono prescindere da Macron. Giggino può pensare a San Marino, insieme a Lamorgese. Perché Francia e Germania sono consapevoli che Biden cercherà di migliorare le relazioni tra Usa e Cina. Un gioco che potrebbe costare caro all’Europa. Meglio, quindi, muoversi in anticipo cercando di ottenere qualche vantaggio prima che sia troppo tardi.
Ci sarebbe da giocare anche la carta russa. Ma ogni volta che le parti si avvicinano, scatta una campagna mediatica contro Putin, quasi come se qualche speculatore finanziario internazionale orchestrasse manovre giornalistiche e proteste amplificate ad arte. Gli interessi europei spingono ad accordi con Mosca, gli interessi delle Ong finanziate non si sa da chi (o si sa benissimo) vanno in direzione opposta. E poco importa se il presidente russo è stato determinante – come ha ricordato Berlusconi – per la liberazione dei pescatori italiani rapiti da Haftar.
Poche settimane orsono è anche stata fatta circolare l’indiscrezione di dimissioni di Putin entro fine gennaio, così come sono state divulgate false informazione sull’inefficacia del vaccino russo. Il problema è che, come sempre, Mosca non è in grado di fare controinformazione.
L’India continua a restare fuori dal grande gioco internazionale. Convinta di bastare a se stessa. Prima o poi si accorgerà dell’errore e si vedrà chi si è preparato per tempo per approfittare del cambiamento di rotta.
Resta, infine, l’America Latina. Un gigante dai piedi d’argilla e con un pessimo carattere. Paesi potenzialmente ricchi ma alle prese con una corruzione diffusa ad ogni livello, non solo tra i politici. Con la mancanza di leadership in un mondo che crede ancora nel ruolo del leader. Con la profonda differenza e diffidenza tra Paesi che avrebbero tutto per poter ripartire dal sogno di Simon Bolivar.
Un mondo dove sta penetrando la Cina, favorita dagli Usa che non hanno mai messo da parte la loro idea di dominio coloniale sull’America Latina. Ma Pechino è favorita anche e soprattutto dall’inesistenza di una politica europea nei confronti dei latinoamericani. Se Merkel guarda ad Est e Macron punta a Sud, l’America Latina avrebbe dovuto vedere un ruolo trainante di Spagna ed Italia, per ragioni storiche e di emigrazione. Ma Madrid ha un premier che preferisce far la guerra alle tombe mentre alla Farnesina c’è Giggino: una perfetta coppia inutile e perdente.