Cresce la nostalgia dell’Iri, del primo Iri, quello creato tra le due guerre dopo la crisi del ‘29 per far ripartire l’Italia con un intervento pubblico, dal momento che i privati dimostravano la loro inadeguatezza ed una immancabile taccagneria. Un istituto, l’Iri, che sotto la guida di Beneduce aveva funzionato benissimo, aveva risanato le aziende e aveva creato le condizioni per il boom economico del dopoguerra.
Uomini come Mattei erano in grado di assicurare una crescita reale ad aziende pubbliche strategiche quali l’Eni. Ma erano onesti, avevano avuto una preparazione adeguata che permetteva loro di affrontare al meglio ogni ostacolo.
Ora i soldi pubblici, i nostri soldi, sono stati gettati in quel pozzo senza fondo che è l’Alitalia, ma senza che le immense risorse servissero a rilanciare la compagnia aerea. Uno spreco senza fine affidato a manager non all’altezza del compito assegnato. E lo stesso vale per troppi altri casi. Soldi buttati per l’ex Ilva, per salvataggi improbabili e non riusciti di aziende private portate in rovina da imprenditori taccagni e manager incapaci.
Esattamente come ai tempi dell’Iri. Ma in quegli anni lo Stato poteva contare su dirigenti pubblici di alto livello, ora può sperare in burocrati sopravvalutati ed inconcludenti, trasformati in super manager da media compiacenti. Ed i risultati, pessimi, si vedono. Qualunque attività affidata al pubblico ha costi maggiori ed utili inferiori, le rare volte che produce utili. Se no perdite che vengono scaricate sui conti pubblici.
Che fare, dunque? Sostenere con denaro dei contribuenti le attività private di pessimi imprenditori privati? O scaricare sui cittadini gli oneri di disastrose gestioni pubbliche di aziende di ogni settore? Tertium non datur. Eh no, in questo caso esisterebbe anche una terza opzione: lo Stato potrebbe rivolgersi a manager capaci, a dirigenti onesti e competenti. Ma siamo in Italia. Tertium non datur..