Solamente ieri il Senato è stato chiamato a votare la fiducia al neonato Governo Draghi. Le votazioni si sono concluse con una schiacciante vittoria del SI con 262 voti favorevoli e 40 contrari.
A caratterizzare questo “risultato elettorale” è stata però la presenza di ben 15 senatori del Movimento 5 Stelle, forza appartenente alla coalizione di Governo, che hanno deciso di votare NO, non fornendo il loro benestare al nuovo esecutivo. Ad aggravare la situazione è arrivata anche la notizia che, oltre ai 15 contrari, altri 8 pentastellati non erano presenti al momento del voto e non avrebbero quindi partecipato alle votazioni.
A seguito di questa “insubordinazione” tra le fila del MoVimento, non si è fatta attendere la risposta dei vertici del partito, con il capo politico Vito Crimi che su Facebook ha rapidamente certificato la sorte dei dissidenti, affermando: “I 15 senatori che hanno votato no alla fiducia saranno espulsi. (…) I 15 senatori che hanno votato no sono venuti meno all’impegno del portavoce del MoVimento che deve rispettare le indicazioni di voto provenienti dagli iscritti. Tra l’altro, il voto sul nascente Governo non è un voto come un altro. È il voto dal quale prendono forma la maggioranza che sostiene l’esecutivo e l’opposizione. Ed ora i 15 senatori che hanno votato no si collocano, nei fatti, all’opposizione. Per tale motivo non potranno più far parte del gruppo parlamentare del MoVimento al Senato. Ho dunque invitato il capogruppo a comunicare il loro allontanamento, ai sensi dello Statuto e del regolamento del gruppo(…)”.
Discorso diverso invece per gli assenti, con lo stesso Vito Crimi che ha annunciato di aver incaricato il capogruppo di verificare le motivazioni dell’assenza. Qualora le cause fossero riconducibili a problemi di salute o di necessità, per gli 8 senatori pentastellati non dovrebbe scattare la sanzione massima, potendo proseguire la loro attività con il M5S.
Non sembrano volersi placare quindi le polemiche interne al Movimento 5 Stelle, a pochi giorni dall’abbandono di Alessandro Di Battista, non concorde sulla possibilità di creare un esecutivo così ampio, sono arrivate altre quindici defezioni.
Sebbene non sia ancora chiaro se dietro le ragioni di questi NO ci possa essere lo zampino dello stesso Di Battista, è evidente come le tempistiche e il significato palese di questi dinieghi, alimentino la fiamma del sospetto.