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Signori: “Il mio rapporto con Baggio? Siamo due buoni amici”

Giuseppe Signori è intervenuto ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format “I Lunatici”, programma condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta dal lunedì al venerdì notte dalla mezzanotte alle quattro, live anche su Rai 2 tra l’una e le due e trenta circa.

L’ex bomber di Lazio, Bologna e Foggia, autore del libro ‘Fuorigioco, perde solo chi si arrende”, ha parlato un po’ di se: “Sicuramente gli ultimi dieci anni sono stati duri da superare, ma non mi sono mai arreso, volevo cercare la verità fino in fondo e quindi la cosa che mi premeva di più era quella di non finire un processo perché andasse in prescrizione. Col mio avvocato abbiamo continuato in questo percorso e poi è arrivata un’assoluzione piena che in qualche modo mi restituisce qualcosa. Cosa vorrei fare da grande? Nel 2010 ho conseguito il patentino Uefa Pro perché la mia intenzione era quella di allenare. Mi piacerebbe allenare i bambini, i ragazzi, per farli crescere”. 

Sul Foggia di Zeman: “L’esplosione di una squadra, un allenatore e una società che si sono fatti conoscere in Italia ma anche fuori per il gioco sbarazzino. Vincevamo divertendoci. Si era creata una grande alchimia”. 

Sull’arrivo alla Lazio: “A Roma ho vissuto la mia consacrazione. Sono arrivato che ero un ragazzo promettente e la Lazio mi ha dato la possibilità di crescere, di vincere tre volte la classifica dei cannonieri in campionato, due in Coppa Italia. Non scordo che i tifosi scesero in piazza per me, certi ricordi sono indelebili nella mia mente. Non sarei mai andato via dalla Lazio, fosse stato per me sarei rimasto a vita. Avevo trovato il mio equilibrio. Ringrazio ancora tutti quei tifosi che scesero in piazza per non farmi andare via. In quei giorni ero lontano, eravamo in tour in Brasile, mi arrivavano certe voci, ma non ho mai preso in considerazione il fatto di andar via. Avevo trovato il mio equilibrio, ero contento, niente e nessuno mi avrebbe convinto ad andare via. Perché segnavo poco in Coppa Uefa? Non ho mai trovato una spiegazione. Non lo so, è sempre stato il mio cruccio. In Europa con la Lazio ho sempre fatto fatica. E’ stata una casualità credo”. 

L’arrivo di Eriksson e Mancini a Roma: “Con Roberto Mancini avevo un bel rapporto. L’ho aiutato anche a scegliere casa. I problemi li ho avuti con l’allenatore. Era venuto meno il rispetto nei mei confronti. La decisione di andare via la presi dopo una partita di Coppa Uefa, Rapid Vienna-Lazio. Mi scaldai per un tempo intero ma non scesi in campo. Era venuto meno il rispetto verso il Signori giocatore. Così ho deciso di andare via. Restare sarebbe stato deleterio per entrambi. A prescindere dal giocatore, il rispetto per una persona e un calciatore che comunque aveva fatto 107 gol con quella maglia ho avuto la percezione fosse venuto meno”. 

Su Usa 94: “Il mio rapporto con Baggio? Siamo due amici. Lo eravamo all’epoca e lo siamo ancora oggi. Abbiamo sempre avuto un ottimo rapporto. Sacchi la prima partita provò a farci giocare insieme, ma perdemmo. Lui era abituato ad avere sempre un centravanti di stazza, non si trovava con due piccoli lì davanti. Così mi chiese di giocare da laterale sinistro. Io finché ho retto fisicamente ho cercato di dare quello che avevo, poi venute meno per ragioni anche climatiche le energie, gli dissi che se voleva farmi giocare mi doveva far giocare di punta. E così mi giocai la possibilità di scendere in campo nella finale dei Mondiali. E’ l’unico rimpianto della mia carriera, giocare la finale di un mondiale capita una volta nella vita. Adesso come adesso giocherei anche al posto di Pagliuca”. 

Sull’arrivo al Bologna: “Prima di arrivare a Bologna vado alla Sampdoria. Mi sono presentato sia mentalmente che fisicamente non a posto. Sapevo di andare incontro a delle difficoltà, avevo un problema di ernia del disco, non c’erano prospettive di un campionato di livello, ho preferito fermarmi, mi sono operato e ripreso alla grande. A Bologna c’è stata la mia rinascita. In quel momento mi sono trovato senza una squadra. Cragnotti e Zoff volevano tornassi alla Lazio, ma io gli dissi che se fosse rimasto Erikson non sarei mai più tornato. Così dopo 111 gol in Serie A mi sono ritrovato senza una squadra. Mi arrivò la chiamata da Bologna, mi consultai con Baggio, che mi consigliò di andare. Ci siamo tolti grandi soddisfazioni. Siamo arrivati in semifinale di Coppa Uefa e di Coppa Italia. Per una piazza come Bologna quasi un miracolo. Poi sono rimasto a vivere a Bologna perché i miei figli si trovavano bene, ma non disdegno di fare qualche salto a Roma ogni tanto. Ai tempi d’oro a Roma non facevo in tempo a mangiarmi un gelato. Perché tra una foto e un autografo il gelato non riuscivo mai a finirlo”. 

Sugli allenatori in Serie A oggi: “Ognuno ha una propria identità. I soliti noti, da Sarri a Spalletti e Pioli o Inzaghi, si conoscono per come lavorano. Stanno facendo un grandissimo lavoro Italiano a Firenze e Dionisi a Sassuolo. Il nuovo Zeman? Uno così spregiudicato non l’ho ancora visto”. 

Sui bambini: “Cosa insegnerei ai bambini? Il calcio di oggi è sempre più fisico e tattico. Ormai anche i bambini pensano al 4-4-2 o al 4-3-3 invece che a dover migliorare sulla tecnica, sul palleggio. La tattica secondo me ai bambini non va spiegata. Ormai i settori giovanili non investono più e questo si sta vedendo negli ultimi anni. Non esce più un talento”.  

Su Immobile: “Il fatto che fa fatica in Nazionale dipende solo dal cambio di gioco. Sarri gioca in un modo, Mancini in un altro. Il problema è solo questo. Se uno fa gol come lui non è che in Nazionale si dimentica come si segna”. 

Sui difensori più forti affrontati: “C’erano tanti. Baresi, Maldini, Ferrara, Bergomi. In Serie A c’erano solo giocatori forti” 

Sul suo gol più bello: “Quello con l’Inter, dribblai mezza squadra partendo da centrocampo. Mi ricordo anche un gol di destro al volo fatto nel derby. E un gol contro il Torino, dove corro sotto l’ascella di Pasquale Bruno per metà campo”. 

Sulla chiamata del Barcellona: “Mi chiamarono per insegnare a battere i rigori da Fermo a Neymar. Aveva delle difficoltà, gli diedi alcuni consigli, ma ho visto che poi ha ricambiato, evidentemente non si trovava bene tirando in quel modo. Io ebbi l’intuizione di battere i rigori da fermo guardando una partita di freccette. Capii che nei rigori non conta la potenza ma la precisione. Se batti da fermo puoi essere più preciso. Come mai solo io ho battuto i rigori da fermo? Perché non è semplice, ci vuole una tecnica particolare, ci vogliono allenamenti su allenamenti”.