Non è per nulla scontato che la fama sia preferibile all’anonimato; un poco sì, troppa sembra sconsigliabile.
Non si pensi di trovare qui giudizi tecnici che spettano a sofisticati intenditori, cultori o almeno appassionati di lirica, quali non siamo mai stati; piuttosto, il senso di sopraffazione assoluta che può trasmettere un incubo senza inizio e senza fine. Per noi profani, digiuni, anzi non ancora nati al genere, lei, la “divina”, era quella che cantava “in avanti”, come se la sua voce superasse la velocità del suono
C’è pure questo: chi per caso ha studiato greco tanto tempo fa, come noi, obbligati più che entusiasti, non riesce a pensare al mondo ellenico in termini di attualità, crisi, default o chissà che altro: appena sente uno di quei nomi, si ritrova spinto indietro, all’Iliade e l’Odissea.
Nei primi anni duemila “Il mio grosso grasso matrimonio greco” rinverdì i fasti di quella stirpe antica e orgogliosa, cui dobbiamo la nostra forma mentis, chi lo nega, ma in seguito ascoltammo solo notizie da tregenda e dimenticammo l’Egeo.
Ovviamente abbiamo visitato la Grecia più volte. Erano gli anni ottanta e l’esperienza risultò straniante: decadenza da una parte, dall’altra l’ostilità verso gli incolpevoli turisti italiani, trasmessa da chi ancora ricordava la nostra cosiddetta invasione.
Maria nacque a New York nel 1923 da una famiglia del Peloponneso, secondogenita dopo una sorella e un maschio morto piccolissimo che, secondo i biografi tutti, doveva venir sostituito dalla piccola: dunque già alla nascita Anna Maria Cecilia Sofia Kalogeropoulou lasciò delusissima mamma Evangelia. Per questa e forse altre frustrazioni, la signora lasciò il marito Georgios, farmacista, che aveva già modificato il cognome facilitandolo alla pronunzia della nuova terra, per tornarsene in patria con le figliole.
La futura diva, nata greca, piroettò dalla cittadinanza statunitense, all’italiana per matrimonio, fino a riprendersi l’originaria di nascita.
La passione per il canto viene fatta risalire a cause diverse, perfino un incidente e un sogno, ma di massima si accetta la versione popolare, che non è spiegata in ogni particolare. Fatto sta che ritroviamo la ragazza al Conservatorio di Atene, notata per i pregi vocali e gli atteggiamenti; registriamo il rimpiattino con l’invasore tedesco mentre arrivava la notorietà locale e il ritorno negli States, la gente che farà poi a gara per attribuirsi il merito della scoperta, una truffa con un impresario/moroso e chi più ne ha. Il nome del collega Nicola Rossi Lemeni è un punto fermo in questa baraonda. E così, ci togliamo dalle pene di biografi, che già sono troppi.
All’università, quando la frequentavamo noi, c’erano molti greci sedicenti in fuga dal regime dei colonnelli e si diceva, fondatamente, che fossero portati per le lingue. Maria non faceva eccezione, in questo agevolata subito dai suoi spostamenti e attraverso le peripezie internazionali. Le attribuiscono la padronanza di almeno sei idiomi.
Alta 1.72 (per sua dichiarazione televisiva), purtroppo era uno di quei soggetti cui l’altezza porta grassezza e quasi obesità.
Il marito, l’unico che ebbe per circa dieci anni, l’industriale e melomane veronese Giovanni Battista Meneghini detto Titta, nei suoi scritti e qualche intervista raccontò diversi aneddoti. In uno egli sembrerebbe avallare la tesi dell’ingerimento di una tenia, volgarmente verme solitario, parassita allora ritenuto utile a perdere peso, ma la realtà deve essere stata più prosaica, diciamo chimica. Recenti servizi ci informano che i 37 chili in meno l’avevano lasciata flaccida, benché ancor giovane, e il recupero della tonicità fu altrettanto faticoso del dimagrimento In più, era contrariata dallo spessore delle sue caviglie.
Proprio su Titta ci basiamo per delineare la figura di Maria, non perché lo si ritenga un oracolo, ma per uscire, in parte, dal girone infernale delle testimonianze legate all’ambiente d’opera, ai film, ai rotocalchi. Ci rendiamo conto che un marito mollato, per giunta davanti agli occhi del mondo, cova dei risentimenti, ma serbiamo l’impressione che in questo particolare caso residuasse più amarezza che desiderio di vendetta.
Giovanni Battista era nato nel 1896, dunque arrivò all’incontro con lei maturotto e “scapolone”, come allora si diceva; risulta pacifico che la sua conservatrice famiglia veneta osteggiasse il matrimonio, avvenuto quasi clandestinamente nel 1949. In particolare il fratello di lui aveva il dente avvelenato con la cognata. Un giorno che la poveretta, ancora oversize, inciampò in sua presenza, ebbe a commentare in dialetto “ è una tale buona a nulla che non riesce nemmeno a camminare”.
Certo è che la giovane e complessata Callas in Italia, dopo i primi entusiasmi, era sull’orlo del baratro e Titta la salvò, appoggiandone la carriera, di talché si è sentito dire spesso che l’unione fosse più d’interesse che d’amore: voci che Meneghini, scomparso nel 1981, quatto anni dopo l’amata, respingeva con fermezza, producendo “pezze d’appoggio” di tutto rispetto, come le lettere in cui la moglie dichiarava di desiderare ardentemente un figlio. Una volta, all’arrivo del ciclo, scrisse amareggiata al coniuge “anche questa volta (le mestruazioni) mi hanno fatta secca”.
Evidentemente gli errori nella gestione di una simile carriera non saranno mancati. Il mecenate Titta nega anche recisamente i cattivi rapporti tra sua moglie e mamma Evangelia, a suo dire ricuciti (anche a dispetto delle dichiarazioni dell’interessata).
Ovviamente appassionata è la difesa della professionalità di lei e del suo controverso temperamento. Una primadonna non è tale se non è bizzosa e imperiosa, ma nel caso di specie qualche dubbio sulla irreprensibilità della soprano nel suo lavoro, è sorto e mai del tutto sedato. L’interruzione della “Norma” all’opera di Roma, nel 1958, davanti al presidente della repubblica Giovanni Gronchi, nasconde qualche vendetta trasversale che solo i superesperti di intelligence operistica possono conoscere, ammesso ve ne siano ancora in vita. Stava male, sostengono i suoi paladini, e invocò la sostituta. La Callas pensava di poter essere sostituita, come una qualsiasi ugola di provincia? Casomai, non avrebbe dovuto nemmeno iniziare, ma chissà, avrà avuto le sue buone ragioni. La rivale storica, Renata Tebaldi l’avrebbe fatto?
D’altronde, se Roma piange, Milano non ride, attesi i tempestosi rapporti anche tra Maria e Il teatro alla Scala.
Vengono sempre ribadire le asperità del suo temperamento, la prosopopea, le sfuriate verso i colleghi comprimari: il dato caratteriale avrebbe impedito lo sviluppo di una sensibilità sociale che né Luchino Visconti né Pier Paolo Pasolini, amici storici, devono essere riusciti a trasmetterle: Maria non era porosa.
I due registi sono inseriti, per acclamazione, nel novero dei suoi amori “impossibili”. Non sappiamo se esistesse davvero tale impossibilità, o magari tutti loro si siano prestati a recite pruriginose per fare cassa. Pasolini appare tenero verso di lei; il nobile galattico Luchino, che già aveva male – trattato l’attrice Maria Denis, a cui doveva la vita, nei filmati sembra rendere nervosa la grande Callas.
Arriva finalmente la fatidica crociera del 1959, tutti a bordo del panfilo “Christina”, su invito dell’uomo più ricco del mondo: l’armatore Aristotele Onassis, origini della Cappadocia, argentino di passaporto, formalmente ancora sposato, qualche anno più giovane di Meneghini, ma con un carisma impareggiabile, come il suo portafoglio.
Più che una vacanza di VIP, quel girovagare di eterogenei famosi, da Churchill alla pettegola party planner Elsa Maxwell sembrava una riunione di potenti a Cernobbio. La sgraziata Elsa ci viene narrata come saffica adoratrice di Maria e manovratrice della sua vita amorosa, fino a convincerla, sul naviglio, a darla via al suo paperone coetnico, per gusto transfer. Fu probabilmente lei a far circolare la voce che l’amata amica aveva raggiunto l’orgasmo con “Ari” per la prima volta nella sua vita.
Meneghini ricorda che tutto sembrava organizzato per fiaccarlo, comprese le defatiganti escursioni a dorso di mulo, e condurlo all’accettazione del fatto compiuto: la nuova coppia grecizzante si era formata. Mentre Onassis finirà per divorziare da Tina Livanos, Maria e Titta non lo faranno, circostanza che avrà un peso.
Il magnate occhialuto aveva condotto una vita a dir poco avventurosa, che si trova facilmente esposta ovunque; quello che si è sottaciuto è una tendenza bisex derivante, secondo i beninformati, più dalla disinvoltura nella lotta per la scalata che come stile di vita.
Titta non credette mai all’esistenza di un bambino, di nome Omero, morto alla nascita, frutto della nuova unione, così come a un aborto a cui ella sarebbe stata costretta da lui; Maria, a suo dire, infertile già negli anni migliori, difficilmente avrebbe potuto rifiorire in seguito; ma forse Meneghini sorvola su di una propria eventuale sterilità e sui mezzi che il ricco armatore avrebbe potuto mettere in campo per far fruttare, nelle cliniche specializzate, un fisico pur già provato come quello della cantante. In ogni caso, nessuno può attestare di aver mai visto il piccolo Omero, oltre quelli che lo giuravano senza prove: resta una leggenda, come il figlio di Marilyn.
I due ragazzi Onassis, Alexander e Christina, vengono descritti ostili alla nuova compagna di papà, anche se con sfumature diverse e testimonianze non collimanti: il giovane, intento a conquistare femmine famose come Odile Rodin vedova Rubirosa, avrebbe chiuso un occhio, pago del benessere comunque assicurato; la corrusca Christina avrebbe invece ingaggiato una feroce e sotterranea guerra alla “matrigna”.
Come spesso accade, i desideri esauditi sono più molesti di quelli inappagati, e i due ragazzini, nel frattempo cresciuti, se anche avevano mal digerito la Callas, come “rovinafamiglie”, dovettero ingollarsi intero il matrimonio a sorpresa di papà con Jacqueline Bouvier vedova Kennedy, il 20 ottobre 1968, nell’isola di Skorpios, proprietà dello sposino.
Per quanto ne sappiamo, oltre al dolore dell’abbandono, la rigida Maria non si capacitava del fatto che Jackie avesse sposato l’ex amante ufficiale della propria sorella, la “socialite” Lee Bouvier Radziwill – e qui finiamo dritti nell’Alta Società americana dell’omonimo film con Grace Kelly.
Le esplosive nozze sorpresero il popolino, perché anche le riviste specializzate avevano sostanzialmente taciuto. Jacqueline era, per tutti, l’eterna vedova del super presidente, pur se i gossip sulle sue scappatelle, ad esempio con Frank Sinatra, si rincorrevano; questo scippo da teenager del big tycoon, a quella che tutti consideravano ormai una consolidata compagna, lasciò tutti a bocca aperta, almeno in Italia, la sera in cui il Telegiornale diede la notizia; e la nuova signora Onassis venne sommersa di critiche al cianuro. Si ripescò anche la velenosa insinuazione secondo cui era diventata l’amante del cognato Bob (sposato con numerosa prole) e si portava, quale pesante indizio, la cronologia: Robert era stato ucciso il 6 giugno precedente, in tempo per “sgombrare il campo”. In realtà i futuri coniugi si erano conosciuti e ufficialmente frequentati quando John Fitzgerald era ancora in vita.
A questo punto della storia, gli incroci diventano infernali. Gli articolisti sembravano disorientati. I due nubendi avevano redatto un contratto prematrimoniale, atto alquanto invalso tra le coppie del jet set; ma presto le gole profonde iniziarono a spifferare che lei non rispettava i patti, non aveva voluto saperne di tentare una gravidanza (quasi quarantenne, provata da aborti spontanei e un baby spirato alla nascita, è comprensibile), i due avevano presto smesso di “dormire” insieme.
Nel 1973, in un incidente aereo dalle dinamiche mai chiarite, muore Alexander Onassis, che in verità non era tagliato per il volo, a causa della sua debole vista.
La tragedia schiantò anche papà Ari, che se ne andò due anni dopo: si videro le immagini, del funerale, Jackie tenere a braccetto la riottosa Christina. La due volte vedova finì per accompagnarsi ad un ricco commerciante di diamanti, Maurice Tempelsman, spesso riparati nell’isoletta esclusiva di Martha’s Vineyard, meta dei ricconi newyorchesi (vi è sepolto John Belushi).
Forse Christina finì per rimpiangere Maria Callas? Probabile. La ragazza, nata nel 1950, viene tratteggiata come un’eterna infelice, sentendosi inguaribilmente brutta, nonché traumatizzata: innanzitutto dal confronto con la bella madre Tina Livanos, in seguito da altri drammi. Tina aveva una sorella, Eugenia, moglie dell’eterno rivale di Onassis, Stavros Niarchos. Eugenia scomparve nel 1970, causa ufficiale overdose, ma sospetti si erano addensati su Stavros. Con chi si risposò il vedovo? Con la cognata Tina, che morì nel 1974 nello stesso modo (e il medesimo strascico di insinuazioni).
Christina, mentre il babbo amoreggiava con le sue donne, forse per rivalsa e ingenua ribellione, si era spesa in diversi matrimoni. Prima con l’immobiliarista losangeleno, di trent’anni più vecchio, Joseph Bolker, ebreo e perciò, si disse, inviso ad Ari che all’epoca faceva affari con gli arabi; poi con il pingue greco Alexandros Andreadis (si mormorava che l’unione fosse stata combinata da alcune zie); terzo tentativo con l’uomo d’affari russo Sergei Kauzov (i giornali ironizzarono sul suo occhio di vetro); infine, nel 1984, con il fusto francese Therry Roussel, erede di industriali farmaceutici, da cui avrà la figlia Athina, e divorzierà presto, per morire nel 1988, di un edema forse causato dall’uso di stupefacenti.
Privata di ogni legame familiare, delusa dal coté reco cui si era appoggiata, Maria Callas si ritrovò sola; aveva provato a fare l’insegnante alla Juilliard di New York, con scarso successo; aveva lavorato in coppia col collega, dato per amante, Giuseppe Di Stefano, che dovette difenderla dalle critiche alla voce ritenuta ormai non più all’altezza; infine, dopo la dipartita di Aristotele, si chiuse nella sua casa di Parigi, Avenue Georges Mandel, incassando via via anche la scomparsa di Pier Paolo e Luchino; l’amico Franco Zeffirelli ammetterà che tutti l’avevano abbandonata (sua la regia di “Dallas forever”, 2002).
Apriamo un parentesi di ritorno al futuro. 16 luglio 1999: John Kennedy Jr , sulla via di una trasferta all’isola amata dalla madre, Martha’s Vineyard, per una cerimonia, si inabissa alla conduzione di un piccolo aereo, trascinando con sé moglie e cognata. Per approfondimenti, rimandiamo al nostro libro “Complottista io?” (Carmen Gueye, Eidon Edizioni); non possiamo non andare con la mente ad Alexander Onassis, che ne era amico e lo aveva introdotto alla passione per il volo, che Jackie sempre aveva osteggiato, ma lei se n’era già andata, nel 1994.
I motivi dell’ isolamento di Maria restano misteriosi. Secondo alcuni, la star finì ostaggio dei suoi collaboratori domestici ed era ostico perfino riuscire a parlarle al telefono. Si mormora che abusasse di molte sostanze, farmaci sostanzialmente, soprattutto per venire a capo dell’ostinata insonnia. Infine, il 16 settembre 1977, arrivò la fine, tra un coro di lacrime da coccodrillo.
I colpi di scena non sono finiti, e qui riportiamo :
“Eredità Meneghini-Callas: liti e polemiche dopo che il commendatore lasciò un patrimonio valutato miliardi di lire alla sua governante, l’allora settantenne Emma Roverselli Brutti….Si fecero avanti anche la novantaduenne madre della Callas, Evangeliha Dimitriadu, e la sorella minore della famosa cantante, Jackye… Il testamento a favore della governante stroncò anche il progetto per quella che avrebbe dovuto diventare la fondazione «Maria Meneghini Callas», che avrebbe dovuto promuovere il canto lirico, legando il nome della divina a quello del marito” Gardanotizie – 18 aprile 2006
In questo periodo molti amano citare pellicole come “Matrix”, “Truman show”, “Essi vivono” o vecchie serie televisive tipo “Il brivido dell’imprevisto”.
Ma a qualcuno verrebbe mai in mente una trama più oscura di quella che abbiamo appena riassunto?
Carmen Gueye