La “crisi del microchip” è iniziata a causa delle restrizioni dovute alla pandemia che hanno imposto una brusca frenata alle consegne e hanno decretato la chiusura di alcuni stabilimenti. Pesa in particolare la dipendenza commerciale dalla Cina, i cui rapporti sono stati messi a dura prova dalla politica “zero-Covid”. La crisi è stata poi alimentata dal conflitto tra Russia e Ucraina. I due paesi in guerra sono infatti esportatori di palladio e neon, componenti indispensabili per le industrie di semiconduttori e chip. A questo problema si è aggiunto recentemente l’embargo di forniture di materie prime della Cina ai danni di Taiwan, leader nell’assemblamento dei microchip. In questo momento, infatti, l’offerta non riesce più a tenere il passo della domanda: rispetto a 5 anni fa, i tempi di consegna dei chip necessari per i sistemi di sicurezza bancaria informatica si sono dilatati fino a raggiungere le 52 settimane contro le 27 settimane pre-Covid.
Arriva la tessera sanitaria senza chip. Una scelta “obbligata” che porta a una maggiore difficoltà di accesso ad alcuni servizi nel campo di sanità e rifiuti. Il via libera è stato dato dal ministero dell’Economia e delle Finanze con un decreto risalente al 1° giugno. “La novità – spiega in una nota il ministero dell’Economia e delle Finanze – è dovuta alla carenza di materiali semiconduttori per la produzione dei microchip, generata dalla grave crisi internazionale”, difficoltà che sta incidendo anche su altri settori, come quello delle automotive, della telefonia e della tecnologia.
Fonti: varie