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Nello sport, come nella vita, mai arrendersi alle difficoltà

Dalla olimpionica di judo al campione mondiale di calcio 1982 passando per la regina del fioretto. Maria Centracchio, Bruno Conti e Valentina Vezzali sono tre atleti che hanno segnato la storia dello sport italiano e che in comune hanno una caratteristica: mai arrendersi, mai fermarsi davanti alle difficoltà, mai gettare la spugna nonostante le avversità. E questo vale sia nello sport che nelle vita di tutti i giorni. Chiaro il messaggio, rivolto soprattutto ai più giovani che praticano attività sportive, dell’appuntamento di questa mattina “Libri di sport” nell’ambito del Festival dello Sport di Trento promosso dalla Gazzetta dello Sport e da Trentino Marketing. Forti e significative le testimonianze di Maria Centracchio, (un bronzo che vale oro alle Olimpiadi di Tokyo) e di Bruno Conti (campione d’Italia con la Roma e protagonista dell’Italia campione del mondo nel 1982 con Bearzot) intervallati da aneddoti e curiosità raccontati da loro stessi; mentre la sottosegretaria alla presidenza del consiglio dei ministri con delega allo sport e schermitrice di livello mondiale, ha affidato all’autore del libro Paolo Marabini la sua lunga storia di successo forte di 56 medaglie (tra giochi olimpici, mondiali ed europei) di cui 35 d’oro. Certo, storie di successo ma anche di tante fatiche, di rinunce, di tantissimo impegno e determinazione che non sono mai venuti meno, nemmeno nei “Momenti di gloria”, tema di quest’anno del Festival.

In quella “ragazza che non si è mai arresa” si riconosce benissimo Maria Centracchio presentata dal giornalista Carlo Martinelli con Antonino Morici autore del libro “Cadi sette volte, rialzati otto”. Il suo bronzo olimpico conquistato nel judo il 27 luglio 2021 a Tokyo è il punto più alto di una carriera iniziata a Isernia (celebre, a tal proposito, la frase da lei pronunciata dopo la vittoria “Il Molise esiste e mena forte”) e costruita passo dopo passo con fatica e tenacia. Una storia, quella di Maria, piena di cadute e di risalite con un sogno (testimoniato nell’appuntamento segnato cinque anni prima sul cellulare per le Olimpiadi di Tokyo) che si è avverato nell’indimenticabile estate sportiva. Voglia di riscatto, grinta e determinazioni sono i componenti di una vittoria fortemente voluta per sconfiggere le difficoltà legate ad una serie incredibile di infortuni, seguita dalla mononucleosi e poi dal Covid.
Una scalata che sembrava impossibile per arrivare alle qualificazioni dei Giochi giapponesi e quindi la gioia immensa di una medaglia che vale oro. Ma come possiamo raggiungere obiettivi che apparentemente paiono impossibili? “Fissando degli obiettivi – risponde con pacatezza – da riprogrammare se non vengono raggiunti. Ogni volta che succede un infortunio è uno shock, arriva lo sconforto totale e quel senso di incredulità e impotenza che porta ad interrogarti: che faccio ora? Visto che non dipende da me trovo la forza per organizzare le idee, stilare una tabella di marcia e ripartire puntando al prossimo step. Sul tatami, in palestra come in gara, e nella vita non dobbiamo mai perdere la speranza”. La tua vita è cambiata dopo la medaglia olimpica? “Io sono cambiata per arrivare alla medaglia: mi sono costruita nel percorso, ho ritrovato la fiducia ed ora posso davvero dire di essere diventata più forte perché non mi fermo davanti a nulla” ha concluso con un sorriso sottolineando il valore di una famiglia (padre ex atleta a livello internazionale e poi maestro, i fratelli campioni italiano e alle Olimpiadi giovanili) “punto di riferimento e di forza alla quale devo tutto”.

E di “storia di amore nei confronti della famiglia” ha parlato Bruno Conti, campione della Roma e della Nazionale di calcio, nel presentare il suo libro “Un gioco da ragazzi” scritto con il giovane giornalista Giammarco Menga. “E’ un libro per i giovani – ha esordito – per far capire loro di non arrendersi mai. Sono nato in una famiglia di sette figli, con difficoltà economiche ma con tanto amore: questa è la cosa più importante. Si parla di rinunce e di sacrifici, di delusione quando mio padre ha detto di no a chi mi voleva portare a giocare a baseball negli Stati Uniti, di ricordi amari per i tanti provini non superati. Poi la Roma, il debutto in Nazionale nel 1980 contro il Lussemburgo e quindi il mondiale del 1982 con un grandissimo Enzo Bearzot che chiamavamo papà…”. E aggiunge con una risata: “Fin da ragazzo avevo capito che non potevo crescere in statura ma almeno con la testa sì…” I racconti di episodi mai rivelati, curiosità e aneddoti durante i ritiri e le partite dei campionati svelano un Conti “che colpisce per la sua semplicità, la sua quotidianità, la sua essenza che vanno oltre la stoffa da campione sia in campo che fuori”. Prima della conclusione non è mancato un ricordo affettuoso all’amico Paolo Rossi (oggi avrebbe compiuto i 66 anni) e un invito a “valorizzare i vivai delle nostre squadre, tanti piccoli talenti da far crescere insegnando loro a non mollare mai davanti ad una piccola o grande difficoltà. Io ce l’ho fatta …”

(gr)