Un Centenario da non guastare
Un secolo esatto dalla Marcia che avrebbe riportato l’Italia al suo posto nel mondo, che avrebbe restituito Roma alla sua missione civilizzatrice e alla sua universalità.
Cento anni dalla vittoria sulle miserie, sulle falsità, sugli odi, sulle meschinità, sugli interessi egoistici, sulle viltà.
Un evento storico che fu fondatore di una nuova era, antica e modernissima, di cui, pur di non mettere in discussione la propria mediocrità, si cerca di perdere il ricordo, anzi di sporcare la memoria. Bisogna fingere che non sia stato possibile un simile connubio di grandezza e di amore.
Silenzio o disprezzo per non guardarsi nello specchio e per non vergognarsi nel confronto: di questo si tratta ed è questo che spiega tanto sciocco livore.
Nella percezione degli italiani, malgrado tutte le pregiudiziali e le scomuniche dei farisei, la rimembranza resta tutto sommato positiva; una simpatia inconfessata, con tutte le giustificazioni individuali possibili e immaginabili, ma c’è.
Ci sono poi decine di migliaia di persone che non cercano giustificazioni per ammettere quel sentimento e per esternarlo.
Attenzione: se costoro oggi gonfieranno il petto e penseranno “siamo ancora qui” faranno magari tenerezza, ma sbaglieranno.
Probabilmente nessuno di noi sarebbe stato chiamato neppure a portare da bere a quegli uomini in marcia. Già per noi sarebbe un miracolo riuscire a coglierne la tempra e lo spirito, per ammirarli, per prendervi spunto per una rinascenza, fosse anche soltanto personale. Ma niente di più.
Chi si sente erede o discendente di quegli uomini è un mitomane. A costoro possiamo solo chiedere che non siano troppo ridicoli nelle loro celebrazioni.
Si abbiano il pudore, l’umiltà, la serietà e la dignità di un rispetto profondo e di una sobria solennità ma non ci si innalzi dalle proprie mediocrità usando le loro immagini per nobilitarci.
Essi non meritano il nostro circo!
Rose rosse per le camicie nere.