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Editoriali

“Dedollarizzazione”, egemonia americana, Cina, Europa e l’occasione unica di questo governo

Tra le tante sparate con cui la propaganda russa ha mascherato la sua invasione imperialista dell’Ucraìna, spiccano la pretesa reazione all’unipolarismo americano e la sfida al monopolio del Dollaro. I vendi-chiacchiere con la Lubjanka nel dna convincono facilmente quelli che chiedono solo di essere convinti, ovvero i falliti politici ed esistenziali che sognano un armageddon dall’esterno per avere apocalitticamente ragione di mamma, papà, il partner (se ne hanno uno), il capufficio, la senilità e l’impotenza, tutti insieme impacchettati con l’etichetta Usa, Nato, Occidente o Europa.
La realtà è però molto diversa da come i rozzi eredi della Ceka la presentano e da come i disperati esistenziali la sbandierano.

Sull’egemonia americana
Il predominio del Dollaro è in effetti da tempo in discussione, ma non per via della guerra in Ucraìna, bensì per una lunga serie di motivi che vanno dalla sfida concreta che gli ha rivolto l’Euro in un contenzioso che dura da oltre vent’anni e che ha causato ogni sorta di sommovimenti da parte americana. Lo è anche per la rivoluzione tecnolgica che sta aprendo strada al mining e alle criptovalute. Lo è per l’ascesa commerciale della Cina – ma anche di varie economie del Pacifico – e per la tenuta dell’Eurozona. Tutto questo s’incastra con le problematiche energetiche che hanno dettato la nuova strategia americana già da un quarto di secolo (con il Rapporto Cheney) e che è alla base dei cambiamenti epocali.
L’unipolarismo di cui cianciano i russi, e i rozzi, invece non è mai esistito, perché non potrebbe sussistere in alcun modo, al suo posto abbiamo un’egemonia indiscussa della superpotenza americana in un multipolarismo asimmetrico, che corrisponde a tutte le varianti strategiche che gli statunitensi prospettano fin dalla caduta del Muro.
Un’egemonia che è ben lungi dall’essere messa in discussione dato che militarmente e satellitarmente gli Usa sono molto più forti di tutti insieme quelli che i deliranti de noantri ritengono pronti a combatterli, ignorando quanto e  come siano interconnessi nella logica di unità e scissione del sistema mondiale.

Il lacché russo di Wall Street
L’invasione dell’Ucraìna, semmai, ha rafforzato l’egemonia americana e quella del Dollaro.
Quest’ultimo da allora si è apprezzato del 30% contro lo Yen giapponese, del 16% contro l’Euro, del 20% contro la Sterlina, del 10% contro il Franco svizzero e del 14% contro lo Yuan cinese.
Gli Usa fanno ancora la parte del gigante con il 40% dell’export globale regolato in dollari e con oltre la metà dei titoli transfrontalieri e soprattutto di debiti globali, che così lievitano a spese di ogni altro player. Monetariamente l’effetto della stupida e criminale invasione dell’Ucraìna da parte russa ha rafforzato gli americani a scapito di tutte le altre piazze. Aggiungiamoci il lancio in grande stile dello shale statunitense, anch’esso causato dai mafiosi del Cremlino che si ha qualche difficoltà a non considerare venduti perché è difficile che si possa essere così scemi quando si è alla guida, sì, di un nano politico, economico e diplomatico, ma pur sempre della seconda potenza militare al mondo. Tralasciamo qui tutte le altre conseguenze strategiche e geostrategiche (dal rafforzamento della Nato alla separazione tra la Ue e i metalli rari del Donbass).
La tanto sbandierata “dedollarizzazione”, se ci sarà, almeno in qualche misura, non sarà di certo per effetto dell’aggressione russa all’Ucraìna che, al contrario, la sta quanto meno rallentando.

Brics e brocca
Poiché gli sconfitti hanno bisogno di un aiutino esterno per sentirsi vivi, ci si aggrappa però all’altra bufala della propaganda del Cremlino: la nascita di un forte blocco antioccidentale che si impernierebbe sul Brics. I disperati di Mosca stanno facendo credere alla propria opinione pubblica, scossa dagli insuccessi sanguinosi di quest’anno nefasto, che una serie di accordi commerciali esprimano ipotetiche alleanze. Nulla di più falso: questi accordi commerciali stanno in piedi da tempo e le sole innovazioni sono state le condizioni capestro con le quali gli “alleati” trattano con la Russia a pezzi. La B di Brics sta per Brasile, ovvero un’economia e una politica da sempre connesse con gli States. La I sta per India, che è nel Commonwealth, la cui politica, non solo economica, è multilaterale e i cui rapporti sono a dir poco complicati con la C, di Cina, che, peraltro, si sta mangiando letteralmente la Russia.
Nessun’attenzione, ovviamente, ai trattati del Pacifico dove la clamorosa autorete di Trump di non firmare il TPP ha messo davvero in gioco molte possibilità e in cui due convitati di pietra si stagliano dietro gli accordi macroregionali: cioè la Cina e gli stessi Usa.
La Russia, che ne è fuori perché non è un vero e proprio player mondiale, non ne parla e così il codazzo di fans non sa nemmeno che esistono, eppure è lì che si decidono i destini mondiali!

Non si tratta solo di punti di vista
Parlare delle raffigurazioni allucinate e distorte della realtà da parte delle zeccobrune destroterminali in overdose da alter Hollywood by Lubjanka è diventato perfino stucchevole, ma non è il punto centrale della questione.
Lo è un altro, che è più diffuso. Poniamo che questa “dedollarizzaione” si stia verificando davvero a vantaggio della Cina. Oppure ipotizziamo che sia possibile a breve. In quale modo dovremmo porci noi? Con la gioia per il crollo dell’egemonia americana a vantaggio dell’Eurozona o con quella di cambiare padrone che, per quanti intellettualismi estremistici si possano immettere, di sicuro non sarebbe migliore, anzi! Sono atteggiamenti ben diversi e discriminano, da una parte coloro che vogliono agire, incidere e se possibile vincere, dall’altra la plebaglia d’animo che vive di rancori.
Invece di puntare al rafforzamento dell’Euro, dovremmo forse godere a natiche spalancate e protese, per un rafforzamento dello Yuan?
Scrutare l’orizzonte e cogliere i possibili mutamenti ha senso soltanto se lo si fa per entrare in gioco, quindi con centralità in noi stessi.
Tornando quindi, in modo sano e non da isterici, bisbeticamente masochisti, alla questione centrale, la schifosa aggressione russa all’Ucraìna sta avvantaggiando Usa e Cina e sta danneggiando noi.
Però offre varie possibilità che vanno capitalizzate.

Italia, Europa, rivoluzionando
Le opportunità che vanno colte sono strategiche e di potenza e partono da una ricucitura degli strappi prodotti da russi ed americani sulla geografia politica europea.
Bisogna riavvicinare Francia e Germania. È necessario che entrambe, e in particolare la seconda, ci forniscano il volano per l’IndoPacifico. Si deve ricucire l’ovest della Ue con i popoli e i governi delle nazioni più volte calpestate dai russi che oggi diffidano di chi fa la colomba sulla loro pelle. Per fare tutto questo servono uno sviluppo strategico e militare europeo e una serie di azioni diplomatiche che, per mille ragioni, chiamano in causa l’Italia come perno, forse l’unico possibile. Fin dalla Brexit le condizioni si sono create ma l’unico che le avrebbe colte, Renzi, era già stato messo fuori gioco. Il governo Meloni ha oggi davanti a sé la possibilità di assumere quel ruolo.
Sono vari gli ostacoli da superare, in quanto europei,  e in quanto italiani: essi vanno dalla necessaria fermezza comune contro l’aggressore russo alla capacità di ricucire con Mosca da posizioni di forza, liberando la Germania dallo stallo in cui i russoamericani (e gli inglesi) l’hanno costretta, in modo da partire unitamente come players. C’è un altro problema, troppo a lungo non considerato, ed è che quando la Germania sconfisse il comunismo e si riunificò fu attanagliata dalle strutture intonse della Stasi le cui creature fanno capo ancora a Mosca e a Tel Aviv e sono quinte colonne anti-europee, presenti ai massimi livelli tedeschi.
La strada è irta di ostacoli ma è più che percorribile se vogliamo evitare una nuova Jalta, stavolta di grande ampiezza, tra Usa e Cina.
Concentriamoci su questo e lasciamo gli incubi, spacciati per sogni, di fronti “antioccidentali”, a chi non ha più niente da dire perché non ha più niente da dare.
Avanti autocarri!