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L’icone tarocche

Dicesi icona la rappresentazione di un’immagine sacra, scolpita o dipinta… Fin qui la definizione, utile ai fedeli cattolici, per materializzare l’aspetto della preghiera. Malgrado la Bibbia vieti l’idolatria (Esodo 20,4), la stessa fu tra le cause maggiori delle varie scissioni nella religione Cristiana, l’idolatria affonda le sue radici fin dall’antichità in ogni parte del globo terrestre.

Possiamo affermare come l’idolatria nasca con l’umanità, non esiste razza terrestre che non l’abbia praticata, compresi i popoli scomparsi come i nativi dell’Isola di Pasqua lasciando ai posteri quell’enormi statue a noi ancor oggi sconosciute. Ma non è detto che, la pratica dell’idolatria, sia perseverata soltanto da chi creda al sovrannaturale, di fatto esiste l’icona laica ed in questo caso ben sfruttata e divulgata dalla sinistra fin dai suoi albori; vado a memoria snocciolando qualche nome: Che Guevara, Joseph Stalin, Tito, Mao Tse Tung.

Ad eccezione del Che sono tutte cadute in disgrazia sotto i colpi della storia e volutamente dimenticati dalla grancassa radical chic, quest’ultima lesta nel togliere, in ogni dove e fin nei circoli ARCI compresi, le loro fu sacre fotografie. Quando la storia brucerà gli abbagli sarà la volta del guerrigliero argentino, dottore si ma non ebbe pazienti omosessuali. Infatti li sterminò tutti.

L’ultima icona in ordine di apparizione (eh, beh, pur di icone si tratta quindi val bene il verbo apparire), tale Aboubakar Soumahoro, deputato alla Camera nonché sposo felice e paladino degli immigrati. Almeno fino ad ieri. Chiariamo subito: deputato rimarrà fino alla fine della Legislatura, l’onorevole non s’è dimesso ma si è soltanto autosospeso dagli scranni del partito di Fratoianni. Si rasserenino i buoni di cuore, il nostro prode continuerà a pasteggiare serenamente con le prelibatezze per le quali noi non possiamo permetterci neppure a Natale.

Parlare dell’accaduto non è cosa facile poiché, comunque si usi la punta del pennino, il rischio di venire tacciati di razzismo è alto. Lo ha ricordato pure Pietro Sansonetti nel suo ultimo articolo su “Il Riformista”. In pratica, il compagno Pietro, ha precipitosamente invocato al razzismo su chiunque oserà accusare il buon Soumahoro. Nel Belpaese funziona così, val bene il dagli all’untore nostrano ma se fosse di colore nessuno s’azzardi, pena il venire tacciato –ed incriminato- per razzismo.

Di fatto ululano al razzismo da razzisti, non accettando la sacrosanta uguaglianza dei diritti e dei doveri. Vorrei la pelle nera, cantava il compianto Nino Ferrer negli anni 60, aveva già capito tutto. Adesso me la rido nel vedere il trasformismo degli amici di sinistra, fino ad ieri tutti in fila per fotografarsi insieme al buon Aboubakar ed oggi pronti nel rinnegare una semplice stretta di mano, fa strano per chi è stato definito come il migliore cittadino italiano (Parenzo, su La 7, durante la trasmissione In Onda) o l’uomo dal cuore grande (da tutti).

Che abbia il cuore grande non saprei, ma dal portafoglio capace ci scommetterei. Capace ed oculato poiché è riuscito nel permettersi una vita dispendiosa grazie alla vendita di 9.000 copie per un libertucolo intriso di ovvietà.

Dispendiosa lui e milionaria la bella signora, bisogna riconoscerlo. Un certo Buzzi (toh, di sinistra pure lui) affermò, testuale: “Con immigrati si fanno molti più soldi che con la droga”. Qualcuno ne ha fatto tesoro nel senso stretto della parola. Con l’applauso, per altro. Tra una balla e l’altra, tra un pianto social ed un altro, tra una borsa di Gucci ed un vestito di Prada.

Se Charles Perrault scrisse “il gatto con gli stivali” sia mai la Magistratura trascrivesse il furbo con gli stivali, questo non lo so, ma fosse in vita Carlo Lorenzini, universalmente conosciuto come Collodi, scriverebbe Pinocchio atto secondo.

Marco Vannucci