Quello che avevamo previsto, facili profeti, è successo. Gli imprenditori operanti nel comparto della raccolta del gioco lecito (sottolineo lecito) posti di fronte all’alternativa secca tra morire senza fare nulla o combattere per tutelare anni di sacrifici e la sopravvivenza delle famiglie proprie e dei propri dipendenti, hanno scelto la seconda strada. Il Tribunale Amministrativo di Trento è stato, infatti, destinatario di moltissimi ricorsi, tutti diretti non solo ad ottenere, in prima battuta, l’annullamento degli ordini di rimozione delle macchinette dai loro locali, ma, soprattutto, tutti finalizzati ad accendere un faro, quanto più potente e illuminante possibile, sulla vera criticità della legge provinciale diretta, come si esprime nella sua titolazione, alla “prevenzione” e alla “cura della dipendenza da gioco”, vale a dire la sua compatibilità con la carta costituzionale.
Quello che dinnanzi al Giudice amministrativo è in gioco è proprio la risoluzione di questo dilemma: una legge che espelle pressoché totalmente dal territorio un intero comparto imprenditoriale (e che comparto: circa 50 milioni di ritorno fiscale nelle casse della Provincia Autonoma di Trento) è coerente con la libertà di impresa, tutelata dall’art. 41 della Costituzione oppure è del tutto sproporzionata e, quindi, sospetta di incostituzionalità? Badate bene che detto snodo – che noi Fratelli d’Italia da sempre stiamo sottoponendo all’attenzione del questo Consiglio Provinciale – non è stato ritenuto assurdo o irrealistico dal nostro T.A.R. Tutt’altro, tanto è vero che al Dipartimento di Ingegneria dell’Università Statale di Milano è stato affidato l’incarico consulenziale di verificare se quanto gli operatori sostengono, con fior di perizie, è realmente riscontrabile o meno, se cioè – traggo il passaggio da una delle decisioni che ho potuto studiare – “l’applicazione del criterio della distanza di 300 metri dai siti c.d. sensibili…determini…una sostanziale preclusione alla localizzazione sull’intero territorio comunale di sale gioco…e, comunque, quale sia la percentuale di territorio in cui tale preclusione verrebbe ad operare”.
Non siamo giuristi, è vero, ma siamo politici da sempre attenti alle libertà individuali e da sempre attenti ad insorgere di fronte ai tentativi di reprimerle senza senso.
Il Dipartimento di Ingegneria dirà se l’espulsione vi sia o non vi sia e, se sì, in quale misura, ma, dati alla mano forniti ufficialmente proprio dal Comune di Trento, ci dicono che fino all’agosto 2020 gli esercizi presso i quali erano installati gli apparecchi per la raccolta del gioco lecito erano 112 mentre dopo l’agosto 2022 essi si sono ridotti a meno di 14. Non sappiamo se questo voglia dire espulsione, ma sappiamo per certo che questo pone un problema politico che non può non essere affrontato se, come in effetti è, politica vuol dire operare, ciascuno secondo le proprie competenze e le proprie visioni, per il bene della polis, della comunità intera, fuoriuscendo da logiche settarie e di contrapposizione tra opposte fazioni: da una parte i buoni, dall’altra i cattivi, senza neppure ben sapere come distinguere gli uni dagli altri.
Oltre a questo, notizia di pochissimi giorni fa, il Consiglio di Stato – proprio con riferimento ad uno dei processi pendenti innanzi al T.A.R. di Trento – è intervenuto, il 5 dicembre, con un provvedimento le cui motivazioni esondano, per così dire, dal caso particolare ponendo temi e questioni di portata generale e che non possono non interessarci. Da un lato il Consiglio di Stato in qualche modo bacchetta la Provincia laddove scrive che “a fronte di un criterio legislativo che ha concesso una “vacatio” applicativa di cinque o sette anni dall’entrata in vigore della legge provinciale” il rischio per la salute collettiva non possa essere ritenuto così imminente ed incombente. Dall’altro, con una espressione che abbiamo trovato davvero felice e significativa, ha posto in evidenza come il diritto alla salute non possa essere ritenuto un “diritto tiranno” rispetto agli altri diritti pure essi costituzionalmente rilevanti, tanto più in una situazione come quella della nostra Provincia in cui – come poco prima il Giudice amministrativo ha rilevato – i tempi di applicazione della stessa variano da un lustro a sette anni per cui davvero, questo è il pensiero che si percepisce a chiare lettere leggendo il provvedimento, non si comprende come possa essere ritenuta minus valente la libertà di impresa rispetto ad una difesa della salute pubblica che lo stesso legislatore provinciale non ha considerato come meritevole di protezione immediata, ma posticipata temporalmente nei sette anni successivi all’entrata in vigore della disciplina.
Non solo. Nella serata di venerdì 9 dicembre il Comune di Trento si è visto costretto, immaginiamo non senza comprensibile imbarazzo e disappunto, a diramare una circolare nella quale ha dichiarato che “L’amministrazione comunale, preso atto dei decreti cautelari adottati dal Presidente del Consiglio di Stato in merito alla sospensione dell’efficacia dei provvedimenti di rimozione degli apparecchi da gioco sul territorio comunale, collocati ad una distanza minore di 300 metri dai luoghi sensibili ai sensi dell’art. 5 della Legge provinciale 13/2015, in attesa dell’udienza fissata il prossimo 12 gennaio 2023 che deciderà in merito alle misure cautelari, ritiene di sospendere le funzioni di controllo e vigilanza fino a diversa comunicazione”, con un effetto, pensiamo, a cascata su tutti gli altri comuni trentini. A questo punto tanti sono i dubbi e le domande che questo labirinto giuridico pone e siamo convinti che a noi spetta sciogliere quei nodi gordiani che sono stati formati da una legge poco oculata e mal ponderata e forse animata più da apriorismi e ideologismi che dalla volontà di normare con razionalità una materia assai complessa.
Di fronte a ciò cosa si può fare? Tante pensiamo siano le strade, tenendo conto che gli operatori del settore non ci risulta abbiano mai costituito un partito pro ludopatia avendoli sempre trovati, nelle plurime occasioni di confronto diretto che abbiamo avuto (siamo convinti che non ci possa essere buona politica se non si parla con la gente e non si approfondiscono i problemi, rimanendo chiusi in una sorta di torre d’avorio che non fa altro che ampliare il solco tra la realtà ed un certo modo di vivere il ruolo di rappresentante eletto), come soggetti che hanno sempre cercato di sollecitare un dialogo costruttivo diretto a rinvenire un bilanciamento equo e ragionevole tra tutte le esigenze: quella, ineludibile, di tutelare i più fragili, ma altresì quella, altrettanto non evitabile, di evitare assurdi annichilimenti di imprese sane, con le connesse drammatiche conseguenze per chi di quelle attività lecite vive, avendo ben presente che il vuoto lasciato dal gioco lecito verrà riempito da quello illecito e che il giocatore non smetterà di giocare perché non ci sono più gli apparecchi, ma si sposterà verso tutte le altre opportunità, dal gioco on line al superenalotto.
Ecco, quindi, che nell’immediatezza siamo convinti che, questa essendo la posizione della giurisprudenza, non possa proseguirsi nella imposizione di una chiusura forzata delle attività, le quali debbono poter riprendere a lavorare e non solo sino al prossimo 12 gennaio, ma quantomeno fino a quando il T.A.R. non avrà deciso.
Se poi si volesse alzare lo sguardo e dirigerlo vero un orizzonte più ampio e non limitato all’oggi – così come tutti noi per il nostro ruolo siamo chiamati a fare – non si può non ragionare circa una profonda rivisitazione dell’intera disciplina, cercando in questo modo di recuperare quell’occasione persa a luglio scorso, forse più per soddisfare le rispettive barricate di appartenenza che per razionale valutazione, di prorogare il termine di entrata in vigore della normativa, che avrebbe consentito un intervento più ampio, caratterizzato da organicità e visione di insieme. E’ quanto hanno scritto congiuntamente i Consiglieri di Fratelli d’Italia Claudio Cia, Katia Rossato e Bruna Dalpalù.