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DomenicaCultura di Marco Vannucci: “L’ultimo canto per Euridice”.

Durante degli Aligherus o degli Aligheris, questo il vero nome di Dante Alighieri, chissà se avesse prese spunto dalla Mitologia greca per la sua Commedia poiché qualcuno, ben prima di lui, affrontò il cane Argo e Caronte scendendo negli inferi per riprendere la sua amata Euridice: Orfeo.

Quella lira, donatagli dal dio Apollo, non bastava per accompagnare la sua voce sublime ed egli aggiunse due corde, da 7 a nove, iniziando a suonarla come nessuno mai. Ma era il suo canto ad incantare più dello strumento musicale. Un canto capace di far danzare gli alberi movendoli a circolo, di ammaliare -zittendo- perfino le sirene, pure gli animali selvatici uscivano dal bosco per ascoltare la voce di Orfeo. Quella voce così lieve, così acuta, così disperata da far cessare gli uomini in guerra regalando la pace tra loro. Per lui mossero la penna Seneca, citando Orfeo in “Ercole sul monte Oeta”: Alla musica dolce di Orfeo cessava il rapido fragore del torrente… e perfino le belve accorrevano dalle loro tane al melodioso canto…

Ovidio, nel Le Metamorfosi, e nel quarto libro delle Georgiche di Virgilio. Orfeo, figlio della musa Calliope e del re della Tracia Eagro, ma secondo altre versioni figlio di Calliope e del dio Apollo (chissà se da qui nacque il detto, solo la mamma è certa) grazie al suo canto fece innamorare lei, la bellissima ninfa vivente Euridice figlia di Nereo e di Doride. E di Euridice, Orfeo, s’innamorò perdutamente. Troppo bella, Euridice, e troppo invidioso l’apicultore Aristeo per non tentare di sedurla rincorrendola tra i campi in fiore. Euridice fuggì disperata e non s’accorse di calpestare un serpente velenoso che le procurò la morte istantanea.

Pindemonte, nel Epistolo, scrive: tra l’erba alta non vide orrido serpe che del candido piè morte le impresse…

Orfeo impazzì dal dolore e non gli bastò, non poteva bastare, la vendetta delle ninfe amiche dell’amata Euridice le quali distrussero gli alveari del turpe Aristeo. Fu così che scese nell’Ade con lo scopo di riprenderla. E lo fece cantando, accompagnato dalla sua lira a nove corde. Con la forza della sua voce convinse Caronte a traghettarlo accucciando il feroce cane Cerbero e tutti i giudici dei morti, incantati dalla melodia. Perfino i demoni cessarono di tormentare i dannati, ed il supplizio si trasformò in un abbraccio. Di canto in canto, Orfeo, espresse tutta la sua dolcezza ma pure la sua rabbia cantando come non aveva fatto mai, piangendo più di un bambino quando ha paura del buio, Orfeo cantò tutte le parole sue più belle ed anche quelle degli uomini mai dimenticati del tempo degli argonauti.

Quelle parole e quel canto di tenerezza e rabbia che pure Tantalo dimenticò la sua sete e gli inferi conobbero la dolcezza. Come scrive Ovidio nella metamorfosi. Quel canto che commosse e convinse Proserpina, la sposa di Plutone, (nella mitologia greca Persefone sposa di Ade) “riprendila”! Gli disse. Ma non voltarti mai a guardarla, finché non sarete alla luce del sole. Orfeo acconsentì e s’avviò verso la luce seguito da Euridice. Lui non poteva vederla e neppure Euridice avrebbe potuto farsi notare dal suo amato. Così decise di accompagnare Euridice indicandole la strada, al suono della lira. Quando Orfeo fu fuori, alla luce del sole, si voltò ma Euridice, zoppicante, stava ancora dentro ed Orfeo la perse per sempre.

Mi piace pensare si voltò quando capì che, Euridice, non appartenesse più al mondo dei vivi e fuori era già tutto cambiato ed era già diverso. Si voltò per l’ultimo atto d’amore, lasciandola riposare. Per sempre.

Il 5 ottobre del 1762, al teatro di Vienna, andò in scena l’opera “Orfeo ed Euridice”. Musicata da Christoph Willibald Gluck ed il libretto scritto da Ranieri de’ Calzabigi. Il ruolo di Morfeo fu affidato ad una voce bianca. Non ci sono certezze, ma parrebbe che nelle varie repliche Orfeo fu pure interpretato dalla voce più soave del bel canto italiano: Carlo Maria Michelangelo Nicola Broschi, per tutto il mondo il grande Farinelli.

Ma la storia di Farinelli merita un capitolo a parte.

Marco Vannucci

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