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Mimì è una gran puttana (il pomodoro tirato in faccia a Puccini)

La Bohème al teatro La Filarmonica di Verona? Perché no! Non nascondo la mia gioia per rivedere l’opera pucciniana preferita, due bei biglietti per la platea seppure, sinceramente, preferisco il loggione dove non vedi niente ma ascolti al meglio la musica. La città degli amanti impossibili, Giulietta e Romeo, m’appare ancora una volta in tutta la sua bellezza; potessi esprimere un desiderio ci vivrei. Siamo vicini al Natale e Piazza Bra è un tripudio di bancarelle colorate a festa, un’occhiata all’Arena… questo piccolo Colosseo romano sfida il tempo come tutte le costruzioni dell’Impero, altri tempi.

Pure altra gente, aggiungo. Il Teatro La Filarmonica è un gioiello incastonato tra le meraviglie scaligere, un ingresso diviso tra 3 architetture diverse: il romano, il romanico, ed il rinascimentale. L’interno ricorda la Belle Epoque ma pure qui è una miscela di stili ben amalgamati tra loro. Entriamo, prendiamo i nostri posti più o meno a pochi metri dal palco mentre, l’orchestra, inizia ad accordare gli strumenti. Il terzo avviso acustico, simile al suono di un gong, ed uguale in tutti i teatri, annuncia da lì a poco l’apertura del sipario. Infatti s’apre lasciandomi basito, guardo la mia lei come per dirle: andiamo via! Un’occhiataccia come risposta, desisto. Vediamo cosa succede.

Rodolfo, Marcello, Schanuard e Colline, ovvero i protagonisti della Bohème, non sono più gli squattrinati artisti ideati da Giacosa (il paroliere di Puccini, il librettista per i puri dell’opera) ma trasformati in 4 compagni in cerca di rivoluzione. Alle pareti, del palco, la scenografia, presenta una serie di manifesti tipicamente comunisti. Inizia la danza con i pugni chiusi, e ben alzati, al ritmo di CE N’EST QU’UN DEBUT CONTINUONS LE COMBAT (ricordate?); nel mezzo scene storpiate ed altre volutamente eliminate, come il premio in danaro ricevuto da Schanuard

Il proprietario della casa, il buon Benoit reso ancora più deficiente della versione originale, si presenta con un basco nero ed un gagliardetto tricolore appuntato alla giacca. Un proprietario fascista, non poteva essere diversamente nella mente del compagno regista.

Ripongo una fiammella di speranza in Mimì e Musetta… Macché! Peggio di andar di notte a fari spenti. Ecco che “il sole arride e torna” diventa il compagno sole risplenderà, nel mentre, il quartiere latino, è un tripudio di bandiere rosse festanti. Stancamente arrivo all’ultimo atto, neppure gli interpreti sono un granché, maledicendo il gruzzolo speso per assistere ad una porcheria.

Sipario finale, un tiepido applauso ai cantanti, un “VERGOGNATI” urlato dalla platea all’arrivo del regista. Indovinate da chi? Sgombro il campo, lungi da me l’ideologia ma accuso il voler personalizzare un’opera grandiosa ai fini politici.

L’arte non si tocca! Il grande Zeffirelli esaltava le scene, non le deturpava! Rimugino sugli ecologisti imbrattatori di opere d’arte pensando di avere assistito ad un pomodoro tirato in faccia a Puccini.

E’ la sinistra, bellezza, questa sinistra fallita ma capace di ogni nefandezza pensando che sia un obbligo pensarla come loro esaltando eroi di cartone.

Marco Vannucci