Dovremmo essere liberi ma in realtà sappiamo di non esserlo. È il paradosso della nostra cultura.
Partiamo da una domanda iniziale: che cosa costituisce la libertà?
Ma questa domanda ne fa subitamente scaturire un’altra: cosa costituisce quella proprietà essenziale dell’essere che suppone dotato di «libertà»?
Nel corso della storia del Mondo che ha dato vita alla «libertà moderna», nessuna filosofia e neanche nessuna teologia ha attribuito all’essere umano la libertà come puro e semplice «potere di autodeterminazione». Anzi si è avuto il contrario. È possibile, invece, affermare che la piena e totale autodeterminazione è stata pensata, immaginandone l’ideale o l’assoluto, solo per un essere perfetto a cui diamo diversi nomi: Dio, Spirito, Natura. Questa è la dimostrazione che la nostra cultura è schizofrenica.
Certamente non smettiamo mai di utilizzare, direi fin ad abusare, la parola «libertà» ed è per questo che non smettiamo mai di parlare di «liberazione», «affrancamento», «emancipazione» tutte operazioni che presuppongono un’assenza iniziale di libertà. Eppure, mentre è possibile liberare definitivamente un prigioniero, non è altrettanto certo che, così facendo, il prigioniero liberato diventi soggetto di un’autonomia assoluta. È invece certo che questo prigioniero liberato si autolimiti nell’autonomia per evitare di tornare prigioniero. È la certezza assoluta di un individuo che per evitare di tornare ad essere prigioniero si pone delle proprie regole o che ottemperi a leggi che ne limitino la libertà.
Questa ambivalenza equivale a una contraddizione interna o, addirittura, ad una auto-espropriazione della libertà. Neanche il «libertino» è libero di libertineggiare. Il «libertinaggio», nel suo senso forte e iniziale, rappresenta il principio della completa indipendenza da regole, codici e leggi di qualsiasi natura riconosciuti da una società. L’autonomia libertina è quella del volere immediato (che sia sotto forma di desiderio o di eccitazione) e l’innegabile seduzione della sua immagine non può impedire che tale fermento si lasci travolgere e distruggere da sé stesso: un’implosione per eccesso.
Ci viene poi detto che il lavoro rende liberi o, come filosofava Marx il lavoro libero, ovvero la libera produzione dell’essere è sociale e nel contempo individuale. Ma tale «produzione» presuppone che il prodotto sia definito come il lavoro libero stesso. In altre parole: la libertà diventa produzione di sé medesima, non è quindi una proprietà conferita in anticipo né un diritto acquisito e irremovibile.
Essa, la libertà, quindi non è se non nella misura che gli viene conferita e, oserei dire, automaticamente esclusa. Esclusa! Ma ad essere esclusa con la libertà e l’autodeterminazione. La mia libertà non mi appartiene, sono piuttosto io che appartengo alla libera invenzione di una «libertà» sempre in là da venire.
Ecco perché la libertà non ha alcuna proprietà simile a quella di un diritto di cui disporremmo, né ha alcuna identità (un popolo libero). La libertà si accorda, la libertà si scambia con ciò che la trattiene: le necessità, i limiti imposti (sociali, della mente, delle relazioni).
Marco Affatigato