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Caso Yara Gambirasio. L’Avv. Salvagni: “reperti confermano che Yara non morì nel posto in cui venne ritrovata”

Caso Yara Gambirasio. L'Avv. Salvagni: "reperti confermano che Yara non morì nel posto in cui venne ritrovata"

A 10 anni dall’arresto, Massimo Bossetti continua a sperare nella revisione del processo. Il muratore di Mapello (Bergamo) è stato condannato all’ergastolo in tutti e tre i gradi di giudizio per l’omicidio della 13enne Yara Gambirasio, scomparsa da Brembate di Sopra il 22 novembre 2010 e ritrovata morta tre mesi dopo in un campo di Chignolo d’Isola. 

Ricordiamo che il 13 maggio scorso, i legali di Bossetti hanno potuto vedere per la prima volta reperti e campioni che hanno portato all’ergastolo il loro assistito.

Tutta la vicenda è stata approfondita durante la trasmissione “Crimini e Criminologia” su Cusano Italia TV (Canale 122 del digitale terrestre), all’interno della quale è intervenuto Claudio Salvagni, avvocato di Massimo Bossetti.

L’avvocato Claudio Salvagni, intervistato da Fabio Camillacci e Gabriele Raho ha esordito rivelando la reazione di Bossetti: “Dopo aver visionato gli oggetti personali di Yara ho sentito Massimo Bossetti che mi ha detto: ‘Resto molto fiducioso per una revisione del processo. Spero che mi possa essere data finalmente la possibilità di far analizzare i reperti rimasti per dimostrare che non ho ucciso io Yara e che quel DNA non è il mio’. Massimo venne arrestato il 16 giugno di 10 anni fa e in questo decennio abbiamo sempre chiesto di poter vedere questi reperti e di poterli esaminare, visto che tutto il processo si è fondato sul DNA. Noi e Massimo Bossetti abbiamo sempre rigettato l’equazione ‘Ignoto 1’ uguale Massimo Bossetti; quindi l’unico modo per poter scalfire questa certezza era ed è quella di esaminare questi reperti, di fare una nuova analisi biologica”.

Successivamente, proseguendo nel suo intervento, Claudio Salvagni ha poi proseguito: “È chiaro, e questo lo dice la stessa Cassazione, che la difesa non può accontentarsi della semplice visione, occorre proprio analizzare i reperti per capire bene. Intanto, questo primo passaggio con la visione degli stessi è stato fondamentale; anche perché abbiamo potuto vedere con i nostri occhi che i reperti esistono veramente. Io, infatti, a un certo punto ho anche dubitato della loro esistenza. Invece esistono e sono stati conservati adeguatamente, almeno per quanto riguarda gli slip, i leggins, la maglietta, il reggiseno, le scarpe, le calze e altri oggetti personali della povera Yara.”

E ancora, entrando maggiormente nello specifico: “Analizzandoli abbiamo potuto vedere anche a occhio nudo delle ulteriori macchie che potrebbero essere analizzate. Pertanto, visionarli è stato un passaggio fondamentale perché adesso dovremmo indicare cosa vogliamo fare e cosa vogliamo ottenere; e questo è quello su cui adesso stiamo lavorando. Discorso diverso va fatto per i campioni di DNA che non sono stati conservati bene. Mi riferisco alle 54 provette da cui è stata desunta l’impronta genetica di ‘Ignoto 1’. Queste provette purtroppo non sono più utilizzabili perché sono state conservate a temperatura ambiente. Le sentenze ci dicono che non si sa quale sia il movente e non si sa nemmeno quale sia la dinamica esatta del prelevamento di Yara e neanche quella dell’omicidio”.

L’avvocato di Massimo Bossetti ha poi ulteriormente affermato: “Tutto questo crimine rimane avvolto in un grande mistero e forse è per questo che suscita ancora tantissimo interesse facendo aumentare, giorno dopo giorno, le persone che credono nell’innocenza di Bossetti. Per esempio, l’elemento della permanenza nel campo in cui fu ritrovato il corpo senza vita della 13enne, è importantissimo perché, secondo l’accusa, la ragazza è stata uccisa in quel campo ed è rimasta lì per tre mesi fino al giorno del suo ritrovamento. Noi invece abbiamo sempre contestato questo punto ritenendo che fosse in contrasto con altri elementi. E proprio guardando i reperti, ci siamo accorti di aspetti che rafforzano la nostra teoria, cioè che Yara non sia morta lì”.

Proseguendo, Claudio Salvagni ha chiarito: “Mi spiego meglio: Yara avrebbe dovuto camminare su quel campo, quindi le scarpe dovevano essere sporche di quel terreno, sono state tre mesi all’aperto, io le immaginavo molto compromesse e invece erano ben conservate. E dico questo perché anche la suola interna era completamente pulita, bianca. I calzini, al contrario, erano sporchi di sangue e intrisi di liquidi putrefattivi. Questo vuol dire che una calza con queste caratteristiche, non può essere stata in quella scarpa completamente bianca. Evidentemente, le scarpe sono state indossate in un momento successivo. Ecco perché guardare i reperti per noi è stato molto importante. Certo, resta fondamentale analizzarli, ma già la visione ci ha potuto restituire elementi in più che prima non avevamo. La Cassazione ha detto che rimane fermo e impregiudicato il nostro diritto di esaminare quei reperti, ma deve essere oggetto di un’altra istanza accompagnata da una relazione scientifica che dimostri che cosa vogliamo ottenere e quali sono gli strumenti utili per ottenere questo risultato. È per questo che i nostri genetisti sono all’opera. Certo, spero che non passino altri 5 anni visto che il 27 novembre 2019, la Cassazione ci aveva autorizzato anche ad analizzare i reperti”.

Infine, sull’indagine per frode processuale nei confronti del pubblico ministero Letizia Ruggeri, l’avvocato Claudio Salvagni ha detto: “La procura di Venezia ha chiesto l’archiviazione del procedimento aperto nei confronti del pm Letizia Ruggeri; c’è stata un’opposizione da parte nostra e questa opposizione è stata ritenuta ammissibile. Tanto è vero che è stata fissata un’udienza il 17 luglio prossimo per la discussione di questa opposizione. Vedremo cosa deciderà il giudice competente“.