In Italia, otto bambini su dieci tra gli 11 e i 13 anni possiedono uno smartphone. Lo utilizzano ogni giorno per navigare online o passare ore sui social. È un dato che fa riflettere: non solo l’età dei fruitori si è drasticamente abbassata, ma il numero di under 13 connessi al mondo virtuale cresce a vista d’occhio. Tutto questo in un pianeta dove, nel 2024, oltre 5 miliardi di persone hanno almeno un profilo social.
Ma i numeri più inquietanti arrivano dallo studio dello psicologo Paolo Soraci, dottorando presso l’Università Niccolò Cusano. Il suo lavoro, “Uso problematico di smartphone e social: analisi e possibili interventi”, offre uno spaccato lucido e preoccupante su come la dipendenza digitale stia alterando la salute mentale dei più giovani.
Dal 2010, i disturbi psichici tra gli adolescenti sono saliti vertiginosamente. Solo tra gli universitari americani, le diagnosi di ansia e depressione sono più che raddoppiate in meno di dieci anni. E tra le ragazze, i dati sono ancora più allarmanti: +188% di accessi al pronto soccorso per autolesionismo nel decennio fino al 2020, e +167% di suicidi. Anche tra i ragazzi, i numeri sono in crescita (+91%).
Nel frattempo, un italiano su due sopra i 14 anni ha fatto almeno un acquisto online nel 2023, con picchi al Nord Italia e una preferenza maschile. Intanto, trascorriamo oltre 6 ore al giorno connessi, due delle quali solo sui social. Il resto? Tra piattaforme streaming e contenuti in loop.
Tutto questo ha un prezzo. E lo paghiamo in termini di benessere psicologico, come sottolinea il professor Renato Pisanti, docente di Psicologia sociale della comunicazione all’Unicusano:
“Gli studi mostrano chiaramente come un uso eccessivo dei social comprometta la salute mentale. Tra i giovani, soprattutto le ragazze, i sintomi depressivi aumentano parallelamente al tempo trascorso online”.
Un esempio? Il “British Millennium Cohort Study” ha seguito 19.000 giovani britannici nati tra il 2000 e il 2002: chi passava più di cinque ore al giorno sui social aveva tre volte più probabilità di soffrire di depressione. Non è facile dire se siano i social a causarla o se siano i ragazzi depressi a rifugiarsi online. Ma il legame è ormai evidente.
Lo smartphone – come denuncia anche la sociologa Sherry Turkle – ci rende “per sempre altrove”, lontani dal momento presente, dalle relazioni reali, dal contatto umano.
Soraci aggiunge che l’abuso di dispositivi digitali può diventare una vera e propria dipendenza:
“Molti provano ansia se non possono controllare il telefono. La paura di essere tagliati fuori – la cosiddetta FoMo, ‘Fear of Missing Out’ – è esplosa tra i più giovani e si manifesta in mille modi: dal controllo ossessivo dei social agli acquisti compulsivi, fino al partecipare a eventi solo per condividerli”.
E allora, che fare?
Famiglia e scuola: la cura inizia qui
Invertire la rotta è ancora possibile. Ma servono strumenti, consapevolezza e soprattutto un’azione sinergica tra scuola e famiglia.
A scuola, spiega Pisanti, vanno promossi programmi di alfabetizzazione digitale e percorsi per sviluppare un uso consapevole della tecnologia. Serve lavorare sul benessere psicologico, con attività come lo sport, il rilassamento e spazi dove parlare apertamente di ansia da esclusione sociale.
Gli insegnanti hanno un ruolo cruciale: educare all’equilibrio tra vita online e offline, valorizzare le relazioni autentiche, insegnare a distinguere tra connessione e connessione emotiva.
E in casa? La famiglia deve diventare il primo spazio di dialogo, un luogo dove si parla, si ascolta, si educa all’uso sano della tecnologia. Un contesto che non demonizzi i dispositivi, ma insegni a gestirli senza esserne sopraffatti.