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Fo, ai funerali la folla intona «Bella ciao». E scorda il suo passato «Repubblichino»

La morte del “maestro” Dario Fo, si sa, ha fatto discutere. Nonostante la sua recente scomparsa in molti, tra attivisti, esponenti politici, intellettuali e giornalisti, hanno continuato a dibattere della sua figura. Ad oggi ancora controversa.
Nella giornata di ieri infatti, i funerali di Dario Fo sono divenuti un vero e proprio caso politico per chi, girando sui canali della Rai, si è dovuto sorbire “75 minuti di delirio rosso”. Il tutto tra cortei di persone che inneggiavano all’inno partigiano Bella Ciao e inviati del TG1, “anche troppo entusiasti”, che definivano l’ex artista “un grande, un genio, qualcuno che ha dato qualcosa a ognuno di noi[…] in un funerale paradossale, perché si sentono parole, ideali e valori che non si sentivano da tantissimo tempo […] in grado di far sventolare bandiere rosse e far cantare Bella ciao sul sagrato del Duomo”.
Le polemiche non si sono fatte attendere e subito c’è chi ha sollevato dubbi e riflessioni sul passato politico dell’artista, non propriamente lineare e coerente con i principi di cui sopra. Non sono pertanto tardate le immediate critiche da parte di chi, a parte la talentuosità intellettuale e artistica dell’ex Nobel per la letteratura, non condivideva granché degli ideali e del passato dell’artista. Tanto è vero che, andando a ritroso, si scopre che a criticarlo ci aveva pensato già Oriana Fallaci, ad esempio, calunniata e attaccata dallo scrittore per le sue idee non propriamente allineate al pensiero unico della sinistra. Allora una vera moda più che un principio e un ideale politico.
Ma in un passato, non molto remoto, si scopre anche che Dario Fo, appena diciassettenne, fu un “Repubblichino” volontario della Repubblica Sociale Italiana, arruolato tra i paracadutisti del Battaglione Azzurro di Tradate. Un passato non certamente facile da cancellare – anche se l’artista ci provò diverse volte – e di cui in molti, sinistra compresa, ne sono a conoscenza.
Dopotutto di foto in cui l’ex artista e drammaturgo, di “sinistra”, appare ritratto con diversi camerati repubblichini mentre indossa la divisa della R.S.I., ce ne sono numerose. E quelle non si cancellano, così come le sentenze. Una fra tutte quella del tribunale di Varese, in cui il giudice dichiarò che Fo, fu “moralmente corresponsabile di tutte le attività e di ogni scelta operata da quella scuola nella quale egli, per libera elezione, aveva deciso di entrare”. 

Certo, Dario Fo, cercò di smentire i fatti legittimando l’arruolamento con la scusa che il padre fosse arruolato nella Resistenza, e quindi “bisognava evitare di generare sospetti”, in combutta con i partigiani. Se non fosse che, successivamente, a smentirlo fu proprio l’ex comandante dei partigiani Giacinto Domenico Lazzarini, un vero e proprio mentore per l’originario attivismo politico dell’artista. Un attivismo mutevole, capace di passare da uno schieramento politico di destra in grado di battezzarlo “Repubblichino e Rastrellatore” a “compagno e comunista” e infine “grillino” e “antisistemico”, fondamentalmente “laico”, proprio come il suo funerale nel giorno del suo ultimo ricordo.

Un ricordo nitido, intellettualmente chiaro e trasparente, anche se politicamente velato e ancora opaco.

di Giuseppe Papalia

Riguardo l'autore

giuseppepapalia

Classe 1993. Giornalista pubblicista, consulente di comunicazione per i deputati al Parlamento europeo, corrispondente da Bruxelles. Una laurea in scienze della comunicazione e una magistrale in giornalismo con indirizzo “relazioni pubbliche” all'Università degli studi di Verona. Ha collaborato con alcuni giornali locali, riviste di settore e per alcune emittenti televisive dalle istituzioni europee a Bruxelles e Strasburgo. Con TotalEU Production dal 2019, ho collaborato in qualità di social media manager e consulente di comunicazione politica.