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Ilaria Alpi: ripercorrendo le tappe dalla sua morte ad oggi

23Era un pomeriggio molto caldo quello del 20 marzo 1994 a Mogadiscio, quando la giornalista Ilaria Alpi e il suo operatore Miran Hrovatin vengono freddati con un colpo alla nuca. Era un commando di sei killer. Avevano scoperto qualcosa che non dovevano scoprire. Si erano interessati ad affari troppo pericolosi.

In una Somalia dilaniata dalla guerra civile, il terreno era fertile per la proliferazione degli affari illeciti: rifiuti tossici, armi, tangenti, riciclaggio di denaro. Fra i protagonisti forse comparivano anche la cooperazione italiana, i servizi segreti e la CIA.  Ilaria Alpi era andata troppo a fondo. Nonostante fosse in Somalia per documentare la missione di pace dell’esercito italiano, capì che il suo scopo non era ascoltare le conferenze dei generali dell’esercito, ma comporre pezzi sul giornalismo d’inchiesta.

La pista giornalistica aveva portato loro ad un’autostrada eclatante: la Garoe-Bosaso. Strada di chilometri e chilometri che attraversava il nulla, apparentemente inutile, ma ottima per seppellire i bidoni di rifiuti tossici. Nel porto di Bosaso (anonimo villaggio di pescatori nel Nord della Somalia), dove Ilaria si recò parecchie volte, avvenivano movimenti molto sospetti. Navi pirata etichettate come navi da pesca che non contenevano celle frigorifere, navi misteriosamente affondate con un carico sospetto a bordo. Ilaria Alpi intervistando signori della guerra, sultani, uomini dei servizi segreti, forse era arrivata alla verità. Aveva scoperto che parte delle armi somale andavano dritte in Jugoslavia per alimentare un altro conflitto.

Una verità troppo esplosiva, che bisognava mettere a tacere. Stava smascherando l’indole dei paesi intervenuti in Somalia, dove più che per ristabilire la pace, si dedicavano ad altro. Un’azione tipicamente colonialista, quando inneggiando alla sensibilità umanitaria ed alla civilizzazione, predomina sempre il tornaconto economico.

“Dalla loro morte si capisce subito che non è stata una rapina, si vede che sono andati in posti dove non dovevano andare” sentenzia Giancarlo Marocchino, un imprenditore italiano in Somalia. Fatalità del caso, deteneva molte navi presenti nel porto di Bosaso. Inchieste e commissioni parlamentari hanno più volte cercato di insabbiare il caso. Già nel viaggio di ritorno, quando vengono trasportate le salme in Italia, i bagagli dei due reporter vengono aperti e scompaiono misteriosamente taccuini e cassette. E’ solo l’inizio.

Dopo tre anni di indagini senza risultati, l’ambasciatore in Somalia Giuseppe Cassini inizia una ricerca dei colpevoli, e arriva in Italia con tre misteriosi personaggi. Loro erano: Sid Abdi (autista della macchina su cui viaggiavano Ilaria e Mirian), Ali Ahmed Ragi detto “Gelle” (presunto testimone oculare), e Omar Hassan Hashi (un uomo che doveva testimoniare in Italia sulle violenze perpetrate dall’esercito italiano sulla popolazione civile). In un interrogatorio Abdi e “Gelle” accusano Hashi dell’omicidio, che viene cosi arrestato. Nel 1999 quest’ultimo viene assolto, ma nel 2000 viene condannato all’ergastolo, che tre anni dopo la cassazione tramuta in 26 anni di carcere.  Colui che venne in Italia per testimoniare su alcuni episodi dell’esercito italiano, si ritrova così a Rebibbia. Una condanna che sa tanto di capro espiatorio.

Grossi dubbi sull’attendibilità delle fonti rimangono, e viene nominata una commissione parlamentare d’inchiesta con a capo Carlo Taormina. Alla fine del suo percorso d’indagine dichiarò che i due giornalisti uccisi si trovavano in Somalia per una vacanza, e sono stati vittima di rapina. secondo Taormina non stavano conducendo nessuna inchiesta.

Nel 2015 a Birmingham viene rintracciato “Gelle”, colui che accusò Omar Hashi. Disse che l’ambasciatore Cassini lo esortò a nominare quel nome, ed in cambio avrebbe ricevuto soldi con un visto per lasciare la Somalia. Di fronte a queste dichiarazioni, Hashi viene rilasciato. Dopo 24 anni di indagini, processi e depistaggi la verità sembra ancora essere molto lontana, ed il caso pare prossimo all’archiviazione. Un’altra pagina nera, anzi nerissima, della giustizia italiana. Ilaria Alpi ed il suo collega Mirian Hrovatin sono morti di giornalismo.

Edoardo Vicomanni