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La sconfitta della Le Pen è la fine dei populismi?

Come ampiamente previsto, Emmanuel Macron ha vinto la sua personale battaglia per la Presidenza della Francia, conquistando l’Eliseo e divenendo così il più giovane Presidente della storia francese.
Inoltre dopo 36 anni (l’ultimo fu Valéry Giscard d’Estaing) il Presidente di Francia non è più espressione di uno dei maggiori partiti, Les Républicains e il Partito Socialista: sono proprio loro, i grandi partiti “tradizionali” ad essere i grandi sconfitti, anche in virtù al risultato del ballottaggio.
Certo, bisogna anche dire che il prossimo giugno, con le elezioni legislative, bisognerà vedere quale maggioranza di governo si potrà creare sotto l’occhio del Presidente Macron, anche se sembra molto probabile che si arrivi a un governo a larghe intese, con il Front National relegato come unica vera forza d’opposizione, insieme alla “gauche” di Mélenchon.
Il Front National, dunque, non può certamente essere felice di questo risultato: sicuramente la lunga battaglia di Marine Le Pen è stata combattuta con ogni mezzo fino all’ultima scheda, ma i risultati delle consultazioni elettorali degli anni precedenti facevano sperare un risultato totalmente diverso. Basta vedere la crescita ottenuta dal Front National durante gli anni di presidenza della Le Pen: ereditato un partito che oscillava tra il 4 e il 6%, nelle consultazioni del 2012 Marine aveva raccolto il 17,9% alle presidenziali e il 13,6% alle legislative, risultato poi quasi raddoppiato nel 2014, quando il Front National si confermò primo partito di Francia alle elezioni europee con quasi il 25% dei voti.
Alla Le Pen non è servito nemmeno condurre una campagna elettorale abbastanza efficace, tanto che il primo sondaggio due settimane fa la dava sconfitta con il 35% dei voti; troppo pesante, per lei, è stato il mancato appoggio di Fillon e la troppo ampia dispersione dei voti di Mélenchon, unico altro candidato convinto che l’Europa debba essere ampiamente rivista.
Si tratta della terza grande sconfitta dei populisti, che dopo l’elezione di Trump non hanno più raggiunto un successo storico: fallito il tentativo di Hofer (che, a questo punto, ha molto da recriminare su quanto accaduto al primo turno), bocciato il progetto del PVV di Geert Wilders, ora anche la donna più forte del populismo europeo è stata sconfitta, lasciando nello sconforto molti dei suoi sostenitori.
Certamente l’aver toccato temi caldi e preso posizioni forti (forse anche troppo) su certi temi ha indebolito, in ottica ballottaggio, Marine le Pen, che tuttavia ha confermato di avere una buona percentuale di elettorato fedele, fondamentale per ostacolare i piani di Macron alle legislative; ma dei partiti populisti europei cosa è rimasto?
Dei grandi partiti infatti l’unico ancora in corsa per una vittoria è la Lega Nord di Matteo Salvini, in quanto anche l’AfD di Frauke Petry sembra aver accusato il colpo, tanto che il ruolo da leader della Petry è stato messo in discussione in vista delle elezioni federali del 24 settembre.
Salvini, dunque, potrebbe essere (a sorpresa) l’unico dei populisti riuniti a Coblenza a festeggiare la propria elezione, anche se ciò dovrà avvenire tramite una grande coalizione di centrodestra, ammesso che Silvio Berlusconi accetti il Segretario federale della Lega Nord come leader nazionale del centrodestra.
Una nota a margine va dedicata a Theresa May, che con il 40% dei consensi registrato dai sondaggi si lancia verso le elezioni dell’8 giugno forte di una stabile maggioranza, che consente di “zittire” molti di quelli che proclamavano un possibile retro-front della Brexit. La May è tutto fuorché populista, ma di fatto sono nei Paesi anglosassoni, ad oggi, la destra è incontrastata. Almeno fino al 2020.
Riccardo Ficara
[Photocredit: L’Opinione Pubblica]