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Tra Sant’Antonio, naviganti e verità

Sant’Antonio da Padova è il patrono degli oppressi, dei naufraghi, delle donne incinte e dei marinai; la Chiesa Cattolica lo ricorda il 13 giugno, il giorno in cui nel 1231 è morto a soli trentasei anni. Proprio in questi giorni la stampa, la politica ma in generale la società civile italiana ed europea si sono ritrovate alle prese con la vicenda della nave Aquarius della Ong Sos Mediterranée e delle circostanze ad essa collegate. Che questo sia avvenuto per una pura coincidenza o per intervento della Divina Provvidenza rimarrà un mistero: perché se le vie del Signore sono infinite per chi crede, altrettante sono quelle del dubbio per gli scettici.
Ma sviando il dibattito sul trascendentale, e ritornando a lidi più terreni, sempre in questi giorni si sono susseguite in merito alla Aquarius diverse bufale e notizie false, pur di screditare l’operato del nuovo esecutivo italiano, provenienti proprio dai medesimi settori sia dell’informazione sia delle Organizzazioni Non Governative che si autodefiniscono paladini della Verità; e pure a fronte delle correzioni o delle smentite provenienti da terze parti, anche e soprattutto da giornali, i democratici detentori del Vero e della corretta informazione rimangono fermi sulle loro idee ed etichettano coloro i quali non sono convinti del loro Sacro Verbo come fascisti o, in questo caso, razzisti e xenofobi. Ritorna perciò alla memoria, dopo tutto quello che è stato detto, un passo, neanche farlo a proposito, dei Sermones di Sant’Antonio: “La verità genera odio; per questo alcuni, per non incorrere nell’odio degli ascoltatori, velano la bocca con il manto del silenzio. Se predicassero la verità, come verità stessa esige e la divina Scrittura apertamente impone, essi incorrerebbero nell’odio delle persone mondane, che finirebbero per estrometterli dai loro ambienti.
Ma siccome camminano secondo la mentalità dei mondani, temono di scandalizzarli, mentre non si deve mai venir meno alla verità, neppure a costo di scandalo.” Il patrono di Padova è stato un teologo e un predicatore; non si è mai occupato di filosofia in senso stretto o esplicitamente. Quindi è naturale considerare quella verità di cui parla prima di tutto come la rivelazione del Cristo presente nei Vangeli e nel Nuovo Testamento: d’altronde, nel periodo turbolento in cui ha vissuto, l’opera missionaria cristiana non era certo ben vista nelle regioni governate dai musulmani. Anzi, era osteggiata anche con la vita. Ecco perché non erano in molti che se ne andavano al di la’ del Mar Mediterraneo a portare la parola del Dio cristiano. Ma si potrebbe attualizzare questo passo, procedendo oltre il suo stringente significato teologico? Prescindendo da Antonio, moltissimi aforismi e passi di grandi filosofi e teologi sono tutt’oggi attuali nonostante siano stati scritti secoli or sono; è la potenza del genio razionale presente in quelle poche e rare persone che attraverso le parole riescono a tracciare una visione del mondo che, al di la’ del bene e del male, si adatta in ogni luogo, in ogni tempo e in ogni circostanza: costoro tratteggiano il presente e, per così dire, descrivono il futuro. Quindi, sì: attualizzare e rendere contemporaneo un passo risalente al medioevo è certamente possibile; altrimenti non potremmo parlare di attualità di Platone o di Aristotele o di Tommaso d’Aquino.
È però necessario, date le circostanze, ridefinire la “verità”: la veste teologica che Antonio le aveva conferito deve perdere il suo aspetto originario e assumere quella più profana inerente alla realtà. Vale a dire, se si prende come esempio il giornalismo, la vicenda dev’essere raccontata nella realtà dei fatti, non edulcorando o per contro stigmatizzando ciò che è. Chi cerca di raccontare la verità deve svincolarsi dall’ideologia cui appartiene e consegnare al lettore o allo spettatore, persino rischiando il posto di lavoro o la vita -se necessario-, una prospettiva il più vicino possibile, appunto, al reale; evitare dei dettagli, piegare e distorcere uno specifico fatto non è di chi persegue la verità, perché così facendo tira acqua al mulino della più bieca ideologia o del più misero interesse. In questi giorni chi avanza dei dubbi sulla legittimità delle azioni dell’Aquarius, o tutt’al più evidenzia delle incongruità nel racconto dell’equipaggio, viene disprezzato dal ceto progressista perché, in nome della tanto declamata umanità, queste questioni che sono state sollevate sarebbero, a dir loro, delle pure speculazioni sulla pelle della gente che si trova a bordo di quella nave. Continuare a difendere a spada tratta una posizione senza porsi il dubbio è sbagliato: si tratta di mancanza di senso critico; ma è altresì scorretto ignorare e piegare la verità per piacere alle belle anime mondane traboccanti di vita e di umanità. Sono giorni di febbrile eccitazione per le sorti della nave e per i passeggeri, c’è la gara a smentire le notizie della stampa che non appoggia l’immigrazione irregolare, una gara a cui nessuno vince, perché la verità, nonostante generi odio, si palesa di fronte all’uomo.
Ma si sa, ignorare o voler ignorare la verità è, parafrasando Platone, indice non tanto di cattiveria pura, piuttosto di ignoranza: sono persone, per quanto dicano ed affermino di essere buone, che non conoscono il bene. Basta un esempio in questo caso: il desiderio di Edoardo Albinati che morisse qualcuno a bordo dell’imbarcazione per vedere a cosa sarebbe successo al governo guidato da Giuseppe Conte. Questa non è bontà, ma non stupisce che la morale provenga proprio da quell’area intellettuale e politica che ha fatto spesso e volentieri dell’ipocrisia il proprio vessillo. Per concludere, in mezzo a queste tensioni e faide a cui si contrappongono, in maniera piuttosto manichea, Verità e Falsità, non bisogna dimenticarsi che ci sono seicento persone lasciate alla mercé di persone sulla cui reputazione più di qualcuno, alla luce delle ultime vicende, avrebbe da ridire; si sono guadagnati la fama di scafisti, o quanto meno di loro complici. E grazie ad una certa stampa e ad una certa cerchia di intellettuali, invece, vengono dipinti come l’avanguardia della vera umanità.
Concludendo, e riprendendo Sant’Antonio, la verità sulla vicenda sta ormai sotto gli occhi di tutti; lo spirito umanitario è semplicemente una maschera sotto cui si cela dell’altro (bastano le indagini delle diverse Procure della Repubblica a mostrare che, il più delle volte, onlus e affini erano utilizzate solo per reclutare manovalanza pagata in nero e a buon mercato, se non per lo spaccio di stupefacenti o la prostituzione): è un abito mondano che rifiuta la verità, tanto cara invece al francescano portoghese. A cui ora, se si crede, sarebbe necessario affidare le anime di quegli uomini, che sotto certi occhi non sono per niente esseri umani. Ma della semplice e pura merce.
Alessandro Soldà