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Cultura

9 Agosto 1918: il Volo su Vienna di D'Annunzio, un secolo dopo

Il Volo su Vienna fu una delle più grandi imprese di D’Annunzio. Era il 9 Agosto 1918 quando il Vate, insieme ad altri sei piloti, compì la clamorosa impresa, dal significato simbolico e politico elevatissimo.
L’audacia del Vate non si fermò neanche davanti ai problemi tecnici che la sua impresa comportava, basti pensare che si preparò per un anno; questa sua tenacia fu ripagata. Il 9 settembre del 1917 infatti, i tenenti Pagliano e Gori volarono per mille chilometri e dieci ore senza riscontrare problemi. Per maggiore sicurezza si chiese poi la consulenza di due giganti della storia italiana del motore: Zagato e Brezzi che apportarono le ultime modifiche.
Una volta risolti i problemi puramente “logistici”, D’Annunzio dovette vincere l’ennesima sfida: sopportare la “bocciatura” del proprio testo. Il Volo su Vienna aveva infatti lo scopo di scoraggiare gli austriaci, in vista dell’ormai prossimo termine della guerra. Il testo preparato dal Vate recitava così: “In questo mattino d’agosto, mentre si compie il quarto anno della vostra convulsione disperata e luminosamente incomincia l’anno della nostra piena potenza, l’ala tricolore vi apparisce all’improvviso come indizio del destino che si volge. (…) La vostra ora è passata. Come la nostra fede fu la più forte, ecco che la nostra volontà predomina e predominerà sino alla fine. I combattenti vittoriosi del Piave, i combattenti vittoriosi della Marna lo sentono, lo sanno, con un’ebbrezza che moltiplica l’impeto. Ma, se l’impeto non bastasse, basterebbe il numero; e questo è detto per coloro che usano combattere dieci contro uno. (…) Il rombo della giovane ala italiana non somiglia a quello del bronzo funebre, nel cielo mattutino. Tuttavia la lieta audacia sospende (…) una sentenza non revocabile, o Viennesi. Viva l’Italia!
Un testo certamente ricco di significato ma che incontrava due enormi difficoltà. La prima puramente “tecnica“: tradurre un testo del genere, lasciando inalterata la poetica dannunziana era pressoché impossibile. E inoltre si riteneva che fosse poco incisivo, tanto che Federico Martini scrisse al riguardo: “Di D’Annunzio si disse ‘Dica e non faccia’. Dopo molte prove di coraggio e valore, io dico ‘Faccia e non dica“.
La versione finale del volantino fu dunque la seguente: “Viennesi! Imparate a conoscere gli italiani. Noi voliamo su Vienna, potremmo lanciare bombe a tonnellate. Non vi lanciamo che un saluto a tre colori: i tre colori della libertà. Noi italiani non facciamo la guerra ai bambini, ai vecchi, alle donne. Noi facciamo la guerra al vostro governo nemico delle libertà nazionali, al vostro cieco testardo crudele governo che non sa darvi né pace né pane, e vi nutre d’odio e d’illusioniViennesi! Voi avete fama di essere intelligenti. Ma perché vi siete messi l’uniforme prussiana? Ormai, lo vedete, tutto il mondo s’è volto contro id voi. Volete continuare la guerra? Continuatela, è il vostro suicidio. Che sperate? La vittoria decisiva promessavi dai generali prussiani? La loro vittoria decisiva è come il pane dell’Ucraina: si muore aspettandolaPopolo di Vienna, pensa ai tuoi casi. Svegliati! Viva la LibertàViva l’ItaliaViva l’Intesa!“.
Non un solo civile fu ferito nell’impresa, eppure il Volo su Vienna fu una delle svolte più cruciali dell’intero conflitto. Gli austro-germanici rimasero letteralmente inermi di fronte all’evento: a livello militare, ci si sorprese della facilità con cui un manipolo di aerei poté sorvolare la capitale di uno Stato sovrano, facendosi letteralmente beffe della contraerea.
A livello di immagine, la ricaduta fu notevolissima: la stampa austriaca non condannò in modo alcuno D’Annunzio e i suoi, anzi li incoraggiò; la popolazione, al pensiero di cosa sarebbe potuto accadere se gli italiani avessero sganciato bombe invece di volantini, perse ogni fiducia nel regime asburgico, già ai minimi storici dopo la morte dell’imperatore Francesco Giuseppe.
Anche la stampa tedesca condannò fermamente i fatti, puntando il dito sia contro l’esercito austro-ungarico incapace di difendersi da un gruppo ridotto di aerei, sia contro gli intellettuali dell’Alleanza. Sembrava infatti paradossale che, mentre D’Annunzio sorvolava Vienna e partecipava attivamente al conflitto dopo essere stato uno dei più ferventi interventisti, nel mondo tedesco nessuno si fosse più fatto vivo tra gli intellettuali dopo la fase propagandistica del conflitto.
Di questo fatto, che fu sostanzialmente una ennesima dimostrazione della superiorità italiana nel conflitto, che volgeva ormai a favore del nostro Paese, sia a livello strategico e psicologico, sia a livello tecnico – basti pensare, ad esempio, a tutta la progettistica dedicata a quest’impresa – rimangono da parte della stampa e degli organi competenti pochissime celebrazioni.
Sembra dunque doveroso citare il testo di una canzone di un gruppo di rock identitario, gli Ianva, scritta assieme ad un altro grande autore del panorama musicale italiano, Enrico Ruggeri: “Che senso ha un volo disarmato? Eppure già l’eterno ha riecheggiato. Si dissimula in seno alla beffa il sacro, non chiederà sangue per il lavacro. Dileggio che è flusso incendiario. Per bombardarvi di onta, voi sete il brutale ordinario, noi siamo noi ed è quello conta: un rombo di giovane ala che viene a frugarvi nel cuore“.