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Cultura

Il latino: lingua per persone adeguate

“Il latino è una lingua precisa e essenziale. Verrà abbandonata non perché inadeguata alle nuove esigenze del progresso, ma perché gli uomini nuovi non saranno più adeguati ad essa. Quando inizierà l’era dei demagoghi, dei ciarlatani, una lingua come quella latina non potrà più servire e qualsiasi cafone potrà impunemente tenere un discorso pubblico e parlare in modo tale da non essere cacciato a calci giù dalla tribuna. E il segreto consisterà nel fatto che egli, sfruttando un frasario approssimativo, elusivo e di gradevole effetto “sonoro” potrà parlare per un’ora senza dire niente. Cosa impossibile col latino.” Erano queste le profetiche parole di Giovannino Guareschi su Candido, 18, 1956. Parole profetiche che oggi hanno trovato piena conferma. Leggere un testo latino è leggere un qualcosa che non ha mai una parola in più del necessario, una parola inutile. Non è vero che il latino è una lingua morta. Il fatto che non lo si parli più ha un’importanza relativa: il latino è talmente vivo che, oggi, non esiste lingua parlata capace di esprimersi con tanta precisione e con così scarso numero di parole.
Si chiarisce – tanto per intenderci – la dibattuta questione di un “così scarso numero di parole” nel testo guareschiano. Comunque, “qualsiasi cafone” potrebbe parlare il linguaggio dei salotti letterari e «potrà parlare un’ora senza dire niente». Mentre la persona veramente colta è quella capace di inventare espressioni degne delle più incisive massime latine.
Il mondo dai tempi di Cicerone è poco cambiato, se non in peggio. Basti pensare a Cicerone che accusando Catilina di aver ordito un colpo di stato è passato alla storia per aver pronunciato quattro semplici parole:Quo usque tandem abutere, ovvero “Fino a che punto abuserai”. Un’espressione semplicissima, ma che è passata alla storia. Un altro esempio lo fornisce Giulio Cesare nell’espressione “Veni, vidi e vici”, utilizzata dal condottiero romano in occasione della straordinaria vittoria riportata il 2 agosto del 47 a.C. contro l’esercito di Farnace II a Zela nel Ponto.
Le parole vengono citate nella Vita di Cesare (50, 6), una delle famose Vite parallele del biografo e storico greco Plutarco.
Michele Soliani