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Cultura

La storia dimenticata della tratta degli schiavi bianchi

La tratta degli schiavi è un evento storico che nella mentalità corrente rimanda immediatamente alla deportazione degli Africani verso l’Europa e le Americhe. Questo avvenimento ha sicuramente rappresentato uno dei fenomeni più vasti, a livello mondiale, di schiavitù che la storia dell’umanità ricordi, ma non l’unico.

La tratta degli schiavi bianchi, che la storia ha dimenticato, ci ricorda infatti che a essere venduti e catturati, spesso da paesi musulmani che anch’essi nutrivano un loro fiorente mercato di schiavi, sviluppato soprattutto sulle coste dell’Africa orientale (la “Tratta del Mar Rosso”), dal Corno d’Africa fino all’odierno Mozambico, oppure attraverso il deserto (la “Tratta Transahariana”),  erano soprattutto persone di carnagione chiara e cristiani. Certamente, nel corso dell’età moderna, anche i paesi musulmani rapivano schiavi di colore sulle coste dell’Africa orientale, ma nel Mediterraneo Arabi e Turchi gestivano un fiorente commercio di schiavi bianchi. E se, d’altra parte, negli stessi paesi mediterranei non era insolito la vendita di schiavi musulmani, il tutto avveniva in maniera notevolmente ridotta. Tra questi l’Italia (probabilmente data la sua posizione geografica) era uno dei paesi presi più di mira. In quegli anni, il solo numero di schiavi cristiani fu di 22000 persone.

I predoni, che si spingevano talvolta anche nell’entroterra, diedero successivamente vita a veri e propri modi di dire nel linguaggio comune, tanto che in Italia alcuni toponimi sono ancora legati alle incursioni saracene. Oggi come allora sono rimaste espressioni che ricordano quegli avvenimenti: “mamma li Turchi”, “Turchi a mare”, “essere pigliato dai Turchi”. Modi di dire ricorrenti nella regione Siciliana ad esempio, storicamente ed etimologicamente luogo di conquista per i paesi arabi. La tratta dei Bianchi in quei secoli aveva fatto del Mediterraneo un vero e proprio “mare della paura”, ma questo non era l’unico teatro dei predoni islamici: le navi degli schiavisti frequentavano anche l’Atlantico e si spingevano fino alla Manica dove attaccavano navi di qualsiasi nazionalità, soprattutto inglesi e olandesi. Anche gli Spagnoli poi, si ritrovarono ad avere non pochi problemi con queste tratte, essendo anch’essi presi di mira dai paesi di natura islamica e musulmana.

Un importante saggio, in merito all’argomento, è stato scritto da Robert C. Davis, professore di Storia alla Ohio State University. Esso si intitola Christian Slaves, Muslim Masters“libro che in buona parte utilizza fonti italiane, seppur non sia stato ancora tradotto in Italia: è chiaro che si tratta di un argomento molto scomodo per la classe dirigente del Belpaese, forse interamente votata al suicidio etnico.

E proprio per tale ragione, ci si domanda ancora perché, negli ultimi decenni, l’ininterrotto genocidio di cristiani nei paesi musulmani abbia avuto così poco eco sui media , nella politica e anche in seno alla Chiesa e all’Occidente Cristiano. La storia (seppur dimenticata) ci ricorda che, a parlar di numeri, tutto ciò appare un vero e proprio “genocidio”, seppur celato. Proprio Davis ha calcolato che, nei 300 anni presi in considerazione, circa un milione di cristiani siano stati ridotti in schiavitù. Come mai allora nessuno ne ha mai parlato? Eppure esistono numerosi resoconti altrettanto dettagliati, uno tra questi è proprio quello di Alexandrescu-Dersca Bulgaru in Le role des escalves en Romanie turque au XVe siecle“, il quale conferma quanto avanzato dallo stesso Davis.

Tuttavia, tralasciando gli ultimi avvenimenti recenti, nessuno ha mai rivendicato (legittimamente) nulla dall’avvenimento di questi fatti. L’impressione è sempre stata quella di un occidente fondamentalmente debole, in piena decadenza, che decompone se stesso e la propria storia, autoflagellandosi oggi come allora. La storia ci farà da maestra, o tenderà a ripetersi? Certo quella del complesso rapporto tra cristiani e musulmani, appare oggi una situazione non di facile interpretazione. Che non va certo ignorata.

di Giuseppe Papalia

Riguardo l'autore

giuseppepapalia

Classe 1993. Giornalista pubblicista, consulente di comunicazione per i deputati al Parlamento europeo, corrispondente da Bruxelles. Una laurea in scienze della comunicazione e una magistrale in giornalismo con indirizzo “relazioni pubbliche” all'Università degli studi di Verona. Ha collaborato con alcuni giornali locali, riviste di settore e per alcune emittenti televisive dalle istituzioni europee a Bruxelles e Strasburgo. Con TotalEU Production dal 2019, ho collaborato in qualità di social media manager e consulente di comunicazione politica.

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