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Editoriali

25 Luglio 1943: emblema della mentalità di Destra

Il 25 luglio fu più grave dell’8 settembre. Non solo perché senza questo non ci sarebbe stato quello, ma perché fu un episodio  più infido, ambiguo e sleale.
Non c’è grandezza nel tradimento, ma almeno c’è chiarezza; non si può dire altrettanto per i cedimenti.

Il 25 luglio i beneficiati di Regime provarono invece a cavarsela alla spicciolata quando le cose si stavano mettendo male, e cercarono di farlo miserevolmente, salvando le apparenze. I risultati li conosciamo e  li stiamo ancora pagando, non solo come conseguenze storiche ma nella mentalità acquisita e diffusa.

Lo spirito del 25 luglio fu quello delle capriole e delle giravolte per sfuggire alle proprie responsabilità e all’ostilità altrui: si trattò dunque di disertare e tradire provando a salvare la faccia; fu, insomma, una dissociazione collettiva che spalancò un baratro.
Tra chi ritiene di essere in qualche modo figlio dell’esperienza fascista, il 25 luglio si celebra indisturbato ogni giorno, protetto dalla sindrome dell’8 settembre. Per tradire lo si deve fare a fondo, si dice, quando invece è sufficiente farlo solo un po’ perché la propria spina dorsale non sia più capace di stare eretta.

Ma se gli strappi ottosettembrini, come l’articolo antifascista di AN a Fiuggi e il successivo rinnegamento di Gianfranco Fini, sono abbastanza pochi, il venticinqueluglismo è qualcosa con cui si fa i conti da sempre, ogni giorno. Si respira quello spirito ogniqualvolta vengono espresse condanne a leggi del passato, o dissociazioni dall’alleanza bellica con i tedeschi. E questi sono i cedimenti storici, dettati, esattamente come quelli del Gran Consiglio, dal desiderio indecente di farsi accettare da altri e di non entrare in contrasto con la morale corrente.

Non c’è solo la storia. Tutti gli impulsi sfrenati di andare nella direzione della cultura altrui rientrano in questa casistica. Tali sono i desideri di assecondare le vestali della sinistra facendo il verso alle loro forme di terzomondismo, di sessismo antivirile, di civismo moralista, di (anti)razzismo, fino a far propri i teoremi comunisti sullo stragismo fascista. Ma non tanto diverse sono le giravolte a destra, con le infatuazioni di Israele, della destra Wasp e con il rimasticamento del populismo qualunquista in ottica anti-europea, gettando così in un attimo nel cestino tutta la tradizione ideale, progettuale e di sangue di cui pure si dovrebbe in teoria essere figli.
Ovviamente tutto questo accade inconsciamente, meccanicamente, per riflessi condizionati. Si confonde quello che dovrebbe essere essenziale, ovvero la continua attualizzazione delle idee e delle posizioni, con la disinvoltura nei confronti dell’essenziale. Non si capisce che cambiare è una cosa e farsi cambiare è un’altra. Così si continuano a scaricare responsabilità e si provano a smussare le ostilità nel tentativo intimamente vigliacco di essere accolti e riconosciuti. Perché, per dirla in poche parole, mancano le palle. E mancano al punto di non riuscire neppure a rinnegare, come avvenne invece l’8 settembre, ma si va avanti con cedimenti continui e con genuflessioni verso i Ledeen e i Bannon di turno.

Comincio a temere che il 25 luglio debba essere istituzionalizzato come giornata nazionale dell’estrema destra.