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Editoriali

50 ANNI DALLA MORTE “DELL’ AFFASCINANTE” KENNEDY

50 anni dalla morte di JFK. Era il 22 novembre del 1962 quando Kennedy fu a Dallas, in Texas, ucciso . Lee Harvey Oswald fu accusato dell’omicidio e fu a sua volta ucciso, due giorni dopo, da Jack Ruby, prima che potesse essere processato.  Ancor oggi vi sono molti dubbi in merito a chi sia stato il vero assassino ma non è questo l’argomento dell’editoriale. Kennedy è entrato nel mito anche se ci si dimentica spesso chi sia stato realmente. Figlio del magnate irlandese Joseph, ambasciatore a Londra prima dell’inizio della seconda guerra mondiale, e Rose Fitzgerald, appartenente all’alta borghesia di Boston, era cresciuto nel privilegio, non subendo alcuna pressione rispetto a quella del primogenito Joe Junior che era stato destinato dal padre alla presidenza degli Stati Uniti. Morto il fratello nel 1944 le porte della gloria gli vennero aperte.

Diventato presto Senatore, decise di lanciarsi nella sfida delle presidenziali del 1960. Lo sfidante era Richard Nixon, vice di quel Dwight D. Eisenhower che era il suo esatto opposto. È questo uno degli elementi che ha creato il “mito” Kennedy: l’aver proposto un vento di freschezza all’austerità, non economica ma mentale, che incarnava il vecchio generale. L’affermazione trova conferma anche nel celebre duello televisivo “Nixon-Kennedy”, dibattito nel quale il primo, che era visto il prosecutore di quella politica, appariva stanco ed affaticato, causa una brutta influenza, mentre il secondo appariva fresco e riposato grazie al tempo trascorso a prepararsi in una breve quanto riposante vacanza. Nonostante le apparenze televisive il risultato non arrivò in quel novembre del 1960 poiché la vittoria fu solamente di 118.574 voti. Si parlò, sino al 2000, a lungo della possibilità che si fossero verificati o meno frodi elettorali. La presidenza Kennedy ha pochi, fondamentali, capitoli politici. Il taglio alle tasse, vigoroso, del 1962 (per il ceto medio 14%, per i ricchi 65%, giù dal 91%), una misura da repubblicani, per un democratico moderato.

La lotta contro il cartello siderurgico del “Blough”, aveva aumentato il prezzo dell’acciaio di 6 dollari la tonnellata, portò il presidente a rivolgersi a privati e a danneggiare il sistema monopolistico vigente allora. Ma non è solo questo. Manovrò sui diritti civili con prudenza e agì solo in caso d’emergenza. Per esempio quando i governatori democratici del Sud cacciano gli studenti afroamericani dai colleges o quando i Russi installarono missili sull’isola di Cuba. La politica estera fu emblematica per molti aspetti. “La storia la scrivono i vincitori o chi si reputa tale” dice una famosa frase che appieno si ricollega a quanto fatto. Non si oppose nel 1961 alla costruzione del Muro di Berlino che divise l’Europa definitivamente in due parti; nel 1962 la crisi cubana venne fermata soprattutto grazie alla buona volontà del Cremlino e per ultimo il Vietnam. Si associa questa guerra alle presidenze di Johnson e di Nixon ma il vero artefice fu proprio Kennedy; eppure il repubblicano fu molto più attivo a cercare la pace e a risolvere problemi creati dal predecessore. Si sa però che a volte quello che conta è il fascino e Kennedy su quell’aspetto non solo ne aveva ma ne eccedeva.

M.S.

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