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Bruxelles: continua il dannoso immobilismo Europeo

Un trolley e una cintura esplosiva: questi i due oggetti che portava con sé l’attentatore di Bruxelles che ieri è stato neutralizzato dagli agenti di polizia, insospettiti al suo ingresso in stazione. Un vero e proprio attacco kamikaze sventato, che poteva costare la vita a molte persone. Già, perché quella bomba era “piena di chiodi”, come hanno dichiarato gli inquirenti dell’antiterrorismo che stanno indagando sul caso.
Così oggi il Belgio e l’Europa tutta si svegliano in allerta, con ancora tanta paura addosso e molto timore per quel che poteva accadere e non è accaduto. Basta poco, infatti, per capire l’entità del pericolo che si è corso: «l’attentatore voleva far esplodere una potente bomba, ma alla fine c’è stata solo una piccola esplosione», dichiara stamane il ministro degli interni belga Jan Jambon alla radiotelevisione fiamminga VRT, aggiungendo poi, «l’identità del deceduto è “nota”, ma è “ancora presto” per ufficializzarla».
Insomma, ancora una volta, ciò che emerge è che l’attentatore veniva da Molenbeek, il quartiere da dove provenivano anche alcuni dei componenti della cellula che colpì nel 2015 a Parigi e nel 2016 nella capitale belga. Persone note agli 007 e ai servizi di intelligence, così come nel recente caso dell’attentatore Parigino che l’altro ieri, sugli Champs Elysees, ha cercato invano di piazzare un attentato – l’ennesimo nella capitale francese – sventato anch’esso dalla prontezza degli agenti sul posto.
Ciò che in questo periodo si sta registrando dunque, al netto dei fatti di cronaca che giorno dopo giorno si susseguono, in un processo mediatico di consapevolizzazione della “minaccia reale” (in cui non si tratta più di stabilire se gli attentati si verificheranno, ma solo se si sarà in grado di riuscire a prevenirli) è l’incremento, da parte di lupi solitari che agiscono in maniera talvolta improvvisata, di attacchi isolati e privi di apparente organizzazione: dopotutto basta un’automobile, un’arma, o qualche ordigno rudimentale improvvisato grazie all’ausilio del web; quest’ultimo il vero “cuore pulsante incontrollato” della propaganda e della formazione per i molti radicalizzati, che spesso agiscono da autodidatti.
Dopo i recenti attacchi di Londra – se ne contano quattro in meno di tre mesi – anche Bruxelles è stata quindi nuovamente presa di mira: sempre con modalità jihadiste, in tutto e per tutto simili a quelle del 22 maggio di Manchester, sempre con una falla nella gestione della sicurezza.
Nonostante infatti l’immediato intervento da parte degli agenti di sicurezza, impegnati nei controlli di routine, quel che si registra è un sempre più paradossale immobilismo da parte dell’Unione Europea nei confronti di elementi sospettati: gli ultimi casi riguarderebbero proprio il terrorista Youssef Zaghba, il primo tagliagole morto nell’attacco al London Bridge del 4 giugno con passaporto italiano, rilasciato precedentemente dalle autorità per «mancanza di elementi», nonostante sul suo conto fosse stato aperto un fascicolo dalla procura con l’accusa di terrorismo internazionale; ma anche del presunto attentatore parigino del 19 giugno, nato in Francia nel 1985 e schedato ‘S’, sigla riservata per i sospetti radicalizzati, così come riferiva il quotidiano Le Parisien.
Una concessione bella e buona, verrebbe da pensare, da parte dei nostrani paesi Occidentali, in cui si pensa che l’ondata del terrorismo, soprattutto quello del “fai da te”, andrà debellandosi autonomamente, magari semplicemente “addomesticandolo” e “controllandolo”. Senza dimenticarsi tuttavia dell’ipocrisia di un’Europa «politicamente corretta» importatrice di democrazia con armi e bombe, che ritiene che l’accogliere tutti gli immigrati possibili sul proprio suolo sia un dovere morale per i suoi paesi membri: senza un minimo di controllo preventivo autentico ed efficace.
Un’illusione bella e buona, da parte del Vecchio Continente, che va accentuandosi in maniera direttamente proporzionale con la negazione di sé stessa e dei proprio valori culturali e spirituali, puntato alla sostituzione anziché all’inclusione: un esempio ne è proprio la capitale londinese, da molti ritenuta prima del fenomeno della Brexit «la capitale europea cosmopolita per eccellenza».
Così oggi a proliferare restano soltanto terrore e paura, quest’ultimi fomentati spesso da un sistema politico occidentale dedito soltanto agli interessi di mercato e non alla salvaguardia dell’identità nazionale: l’esempio potrebbe essere facilmente identificabile nel recente dibattito sullo Ius Soli, ovvero quel diritto di cittadinanza incondizionato per tutte le persone nate nel Paese. Peccato che la cittadinanza non valga quanto una maglietta, da indossare e sfilare a piacimento, ma vada meritata.
E se per molti quest’ultima rappresenta un vero e proprio strumento di integrazione, per altri è un solo un modo per rispondere al calo demografico dato dal fatto che nei nostri paesi la natalità è sempre più bassa, così come sostiene mons Di Tora, presidente della Fondazione Migrantes in una intervista al Corriere della sera in cui dichiara: «Si fanno sempre meno figli, è anche una risposta al problema della denatalità. Molti italiani, ad esempio, stanno emigrando: dal 2005 sono 4 milioni e 800 mila in dieci anni, circa il 40 per cento, per motivi di studio e di lavoro, intere famiglie se ne vanno. Abbiamo bisogno di giovani».
Peccato, aggiungeremmo, che non sia il momento migliore per discutere di una legge che, a detta di diversi esperti, spalancherebbe le porte ad un sistema di immigrazione già di per sé colluso e non del tutto trasparente. Anche e soprattutto in correlazione ai recenti rischi attentati. Nonostante in Italia, forse per la poca radicalizzazione o forse per un servizio di intelligence efficace, ancora non ce ne siano stati. Chissà fino a quando.
Giuseppe Papalia
 
 
 

Riguardo l'autore

giuseppepapalia

Classe 1993. Giornalista pubblicista, consulente di comunicazione per i deputati al Parlamento europeo, corrispondente da Bruxelles. Una laurea in scienze della comunicazione e una magistrale in giornalismo con indirizzo “relazioni pubbliche” all'Università degli studi di Verona. Ha collaborato con alcuni giornali locali, riviste di settore e per alcune emittenti televisive dalle istituzioni europee a Bruxelles e Strasburgo. Con TotalEU Production dal 2019, ho collaborato in qualità di social media manager e consulente di comunicazione politica.