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Esteri

La sorda Israele e quell’arrogante politica espansionistica

Israele torna sul “banco degli imputati”: ieri infatti la Knesset ha approvato circa 4.000 alloggi su terre di proprietà privata in Cisgiordania con 60 voti favorevoli e 52 contrari. La legge prevede un risarcimento per i proprietari espropriati, i quali potranno scegliere tra una proprietà alternativa o una retta annuale.
Non è servita a nulla la condanna da parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, con la quale si intendeva difendere la soluzione dei due Stati, impedendo ad Israele di occupare territori palestinesi. La Risoluzione 2334 del 23 dicembre 2016 negava la validità legale della costituzione da parte di Israele di colonie nel territorio palestinese occupato dal 1967, compresa Gerusalemme est, e ribadiva i confini stabiliti all’epoca. In quell’occasione, l’ambasciatrice Usa all’ONU aveva dichiarato: ”Non si può simultaneamente difendere l’espansione degli insediamenti e difendere la soluzione praticabile dei due popoli”.
A sorpresa, dopo un tweet che suonava come una minaccia (”Le cose cambieranno dopo il 20 gennaio”), anche Donald Trump si è espresso contro le politiche espansionistiche di Israele, affermando che gli insediamenti minerebbero la pace tra i popoli. Intanto, non si è fatto attendere il comunicato di condanna dell’ONU: ”Se la legge sarà adottata, vi saranno importanti conseguenze legali per Israele e le prospettive di pace verranno grandemente ridotte”.
Il voto sarebbe stato anticipato contro la volontà del premier Netanyahu, il quale aveva chiesto di rinviare la decisione dopo l’incontro con Trump, in programma per il 15 febbraio. La legge ha suscitato tensioni all’interno del governo, poiché trasgredisce le decisioni della Corte Suprema israeliana sul diritto di proprietà. Non solo: il provvedimento viola anche l’art. 49.6 della Quarta Convenzione di Ginevra, secondo cui “la potenza occupante non potrà mai procedere alla deportazione o al trasferimento di una parte della propria popolazione civile sul territorio da essa occupato”. Come se non bastasse, la decisione della Knesset ha tutti i presupposti per essere definita “crimine di guerra” dall’art. 8.2, b, VIIIdello Statuto di Roma della Corte penale internazionale.
La decisione del Parlamento israeliano è stata criticata sia dall’Anp che dalla Turchia, mentre il segretario dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina l’ha definita “un furto di terra”. Fanno discutere anche le dichiarazioni dell’ambasciatore israeliano in Italia, Ofer Sachs: ”Noi abbiamo un governo di destra in Israele, la loro opinione è chiara. Detto ciò, abbiamo visto nel passato che Israele è un Paese che rispetta le leggi e la cornice legale“; eppure, nella vicenda in questione, sono più le leggi infrante che quelle rispettate.
La questione che lascia più sgomenti è l’arroganza di Israele, totalmente sorda alle condanne internazionali, democratica a parole, ma autoritaria nei fatti. Dal ’67 ci sono state numerose risoluzioni Onu per sollecitare Israele a ritirarsi militarmente dai confini, ma, puntualmente, Israele viene considerata al di sopra della legge e minacciata di seri provvedimenti solo in astratto: fino ad oggi, nemmeno l’ombra di conseguenze concrete.
All’interno dei vari Consigli la parola “pace” viene abusata di continuo, ma qualcuno dovrebbe ricordare ai potenti del mondo che qui non si tratta di un gioco, bensì di privati cittadini espropriati delle loro terre e della dignità infranta di un popolo.
Antonella Gioia