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La strana moda dei post-comunisti di rimuovere le statue

Dopo gli episodi di Charlottesville, a Seattle, nel quartiere di Fremont, è stata richiesta a gran voce la rimozione della statua di Vladimir Lenin, commissionata nel 1988 dal partito comunista della Cecoslovacchia allo scultore bulgaro Emil Venkov. Il colosso di bronzo era stato poi trasportato a Fremont nel 1994 da Lewis E. Carpenter, insegnante d’inglese a Poprad, Slovacchia. Il sindaco di Seattle, Ed Murray, si è espresso favorevole alla rimozione della statua affermando che “non solo questi simboli rappresentano ingiustizie storiche, ma la loro esistenza provoca anche dolore tra coloro che essi stessi o i cui membri della famiglia sono stati colpiti da queste atrocità”.
Murray sarà dunque il primo sindaco di Seattle a richiedere la rimozione della statua:”Dobbiamo rimuovere tutti questi simboli. Ciò include sia memoriali confederati che statue che idolatrano il fondatore del regime sovietico autoritario. Entrambi sono di proprietà privata, ma credo che il memoriale confederato al cimitero di Lake View e la statua di Lenin a Fremont dovrebbero essere rimossi. Non dobbiamo mai dimenticare la nostra storia, ma non dobbiamo anche idolizzare figure che hanno commesso atrocità violente e hanno cercato di dividerci in base a chi siamo o da dove veniamo”.
Eppure, non tutti si dicono d’accordo con la rimozione della statua, considerata da molti un monito a non ripetere gli errori del passato. Robert Benish, un residente del Lake Forest Park, ha dichiarato:”Ogni volta che passo accanto alla statua di Lenin a Fremont, mi ricordo che è una dimostrazione della stessa libertà che rende il nostro Paese il più grande del mondo e che per mantenere questa libertà dobbiamo rimanere sempre vigili per preservarla dagli attacchi di coloro che vorrebbero privarcene”.
La statua del dittatore russo è solo l’ultimo dei monumenti storici al centro di numerose proteste in diverse parti del mondo, anche se il personaggio di Lenin pare essere tra i più odiati. Nel centenario della rivoluzione russa, infatti, risultano ben 1320 le statue del dittatore sovietico distrutte nel territorio controllato da Kiev. Lo ha confermato il direttore dell’Istituto per la Memoria nazionale, Vladimir Vyatrovich, sulla scia della legge sulla decomunizzazione del maggio 2015 che prevedeva lo smantellamento dei monumenti sovietici e la ridenominazione di strade, piazze ed edifici.
 
L’effetto Werther indotto a Charlottesville ha risvegliato lo spirito anarchico dei protestanti anche a Durham, dove si sono verificati episodi di vandalismo ai danni della statua di un confederato, tirata giù e presa a calci e pugni. Su Twitter, il governatore della North Carolina, Roy Cooper, ha condannato le modalità di rimozione della statua scrivendo:”Il razzismo e la violenza di Charlottesville sono inaccettabili, ma esistono modi migliori per rimuovere questi monumenti”.
C’è chi piange la distruzione di opere d’arte e chi invita ad assumere un atteggiamento super partes, a considerare i monumenti non come apologie, bensì come testimonianze di eventi e personaggi che, nel bene e nel male, hanno contribuito a scrivere la storia. In un contesto del genere, riecheggiano più vivide che mai le parole di George Owell:”Ogni dato è stato distrutto o falsificato, ogni libro è stato riscritto, ogni immagine è stata ridipinta, ogni statua e edificio stradale sono stati rinominati e ogni data è stata modificata e il processo continua giorno per giorno e minuto per minuto. Niente esiste, tranne un infinito presente in cui il Partito ha sempre ragione”.
di Antonella Gioia

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