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La Troika ordina e la Grecia svende i suoi beni

Quante volte vi è capitato di percorrere una qualche stradina della vostra città e di capitare in un quartiere commerciale? Vi aggirate estasiati di fronte alla moltitudine pantagruelica di oggetti di qualsiasi guisa in vendita, a prezzi minimi e massimi, belli e brutti. I colori delle vetrine, il vociare dei venditori, la massa di persone affaccendata con le buste: tutto concorre a darvi l’idea di una brulicante operosità davanti ai vostri occhi.
Improvvisamente, un annuncio particolare vi colpisce: un intero sito archeologico in vendita! È mai possibile? Coste di spiaggia in vendita come pezzi di prosciutto? Opere architettoniche date via come telefonini? Musei rimpiazzati da ostelli per la gioventù?
Eppure è possibile. In alcuni paesi dell’Unione Europea sembra che stia acquisendo sempre più larghi consensi l’idea che, per abbattere o alleggerire la propria massa debitoria, sia un bene svendere a privati il proprio patrimonio culturale. Non tutto, certo; quel poco però che, volenti o nolenti, sembra più un peso che un collegamento con le civiltà passate.
Molti paesi europei hanno avviato una grandiosa vendita dei gioielli di famiglia: isole, palazzi, foreste, finanche siti archeologici. Altri, in modo più subdolo, hanno cominciato a esporre un ticket col prezzo su beni pubblici come parchi e musei, e perfino singole opere d’arte.
Dietro le quinte esistono enti collettivi che, sempre più frequentemente, hanno già privatizzato servizi basilari come l’istruzione, i trasporti, la sanità, non sempre rendendo un aiuto alle casse pubbliche.
Nell’arcipelago greco delle Ioniche tutto il braccio nord-sud dell’isola di Meganisi è stato ceduto, nei mesi scorsi, a uno dei più importanti banchieri americani per costruire ville e villaggi turisticiSkorpio è stata comprata per 100 anni da un russo, lo stesso è valso per le isole a nord di Itaca e in questo caso sul fondo pare vi sia anche il petrolio. Lo sceicco Hamad bin Khalifa Al-Thani, infine, sta pensando di comprare altre sette isole poste nell’arcipelago delle Echinadi, nello Ionio.
La crisi non lascia requie, la Troika pressa e quindi l’Ente ellenico per la valorizzazione delle proprietà dello Stato (Taiped) svende altre centinaia spiagge e per renderle ancora più stuzzicanti il Governo greco sta progettando una legge che consentirà di edificare direttamente nelle vicinanze del mare se non addirittura dentro lo stesso.
È un vero e proprio ladrocinio di beni comuni sotto gli occhi di tutti perpetrato dal Taiped, un ente creato dallo Stato greco (su suggerimento della Troika), deputato a “valorizzare” i beni pubblici e a organizzare le svendite di spiagge, isole, luoghi archeologici e appezzamenti di terreno in generale, nell’ambito del grande piano di privatizzazioni lanciato per rendere i 240 miliardi di euro di prestiti concessi dal 2011 al Paese.
Residenti ed ambientalisti pensano che lo sfruttamento turistico incontrollato delle isole non rovinerebbe unicamente ecosistema e tradizioni, ma andrebbe a ledere la stessa economia del luogo, poiché tutti i soldi sarebbero convogliati in un’unica tasca, quella dell’investitore (quasi certamente forestiero) che avrà un trattamento fiscale agevolato, come già stabilisce una legge recente del governo Samaras.
La paura è che, se non sarà bloccata, la svendita del retaggio naturale e culturale della Grecia possa, in un futuro prossimo, portare a una nuova sottrazione di lavoro e di diritti sindacali, cose fondamentali che si possono riottenere e rinnovare solo se anche i beni comuni dei greci non saranno affidati ai privati e sprecati per sempre.
Così, in un Paese che ha plasmato la propria immagine sulla cultura e dove l’illimitato accesso al mare è un diritto ratificato dalla Costituzione, si riavvia la controversia sulla non convergenza di un piano di crescita e di soccorso economico che non contempla ostacoli ambientali e culturali e immette tensione in un quadro sociale già di suo inasprito.