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Pensieri in Libertà

Alain Deneault e la Governance. Il management totalitario

“[…]La gestione governativa era sempre stata intesa come una pratica al servizio di una politica dibattuta pubblicamente. Ma poiché la politica si è lasciata rovesciare da quella pratica al punto di cancellarsi a suo vantaggio, è lecito dire che la governance aspira a un’arte della gestione in quanto tale. […] Una simile mutazione promuove il management d’impresa e la teoria della tecnica aziendale al rango di pensiero politico.[…]”
 
 
Alain Deneault è un docente e filosofo canadese. Tanti lettori, ricorderanno il saggio La Mediocrazia, edito da Neri Pozza nel 2017. Una mente libera, criticabile per la mancanza di approfondimenti su alcuni dei temi trattati, soggetti ad una semplificazione sin troppo esteriore. Non è il caso del lavoro che abbiamo citato e dell’ultimo, intitolato Governance. Il management totalitario in uscita dal 26 aprile, sempre per Neri Pozza e la Collana I Colibrì. Un buon saggio, attuale e completo. L’«Ideologia della Governance» neo-liberale, presente nei gangli della politica ma non solo, viene analizzata a fondo dall’autore, dando al lettore la possibilità di intravedere una via d’uscita e delle soluzioni inedite per confinarla al rango di «un angusto presente sconnesso, etereo, che non ha niente a che fare con la presenza, ma che vi si libra al di sopra, o addirittura la contraddice indifferentemente».
 
 
“[…] Si parla soltanto di interessi specifici per cose circoscritte. Nessuna agorà è richiesta per discutere del bene comune. […] Il passato manageriale della nozione è taciuto per poterle così assegnare una portata politica piena e intera. […]”
 
 
Questa rivoluzione anestetizzante, stillata goccia dopo goccia dalle profondità della società post-moderna sotto l’egida del Capitale, è riuscita a ridurre la politica ad un format che modula tecnicamente ogni dissenso ad insane voci nel deserto; additando la critica come l’esegesi dell’improvvisazione di idee alienanti quando è l’esatto contrario, annichilendo la parola pubblica e ponendo un divieto ai pensieri autentici come a quelli nuovi che si discostano dall’ideologia. Incardinata su quei trend che hanno ridotto gli stati ad entità private ed accentratrici, ponendo quasi fine all’autonomia che è parte integrante anche del pensiero e della pluralità di un popolo, sostituita con l’unità del mondo.
 
 
“[…]Proprio in nome della società civile, la dottrina della governance giunge a concepire i soggetti politici come elementi dispersi, i quali formano sì una “società”, ma relegata ai margini delle sue stesse istituzioni… […]”.
 
 
All’opposto delle odi ripetitive su una rinnovata “società civile” che la destra, la sinistra e le loro estremità, continuano ad invocare senza sosta, Deneault ne fa un quadro in cui raffigura «un soggetto che vede se stesso diventare tutt’al più un lobbista particolare delle proprie velleità». Senza comprendere le pulsioni reali dell’unico progetto che lo stimoli, diventato così l’unico cui sia capace di perseguire. Tralasciando, presi come siamo dal vortice di aspirazioni a buon mercato, ciò che davvero corrisponde alla realtà: «La società civile in quanto soggetto storico è chiamata a stabile un rapporto di “partenariato” con le forze mondializzate del settore privato e con lo Stato stesso». Una delle tante brandizzazioni inculcate a quei “liberi” psuedocittadini, automatizzati e sotto profilazione, convinti di essere l’alternativa ad un qualcosa pur essendo diventati, una minima parte del meccanismo.
 
 
 “[…]L’ellissi permette di ignorare gli esclusi dal processo della govenance:coloro che non ne condividono la terminologia devono implicitamente concludere di non avere i requisiti per partecipare alla decisione pubblica. […]”
 
 
Questa «logica dell’esclusione», così viene espressa da Deneault, è il frutto di un lungo lavorio dedito alla concertazione per modificare la prospettiva sulle tante problematiche di interesse pubblico. Facendola passare per ovvia, ricordiamo il “caso” dell’amico Alain de Benoist e dell’incontro tenutosi presso la Fondazione Feltrinelli a Milano. L’intenzione degli esegeti della governance e del «Pensiero Unico» (termine coniato da ADB), è quello di escludere dal dibattito pubblico su qualsiasi tipo di argomento che sia suscettibile di critica degna di considerazione, chiunque si discosti e possa mettere in luce le storture dello status quo. La popolazione, impegnata nel mondo del lavoro, in politica o in altre cose, non ha diritto di replica. E gli appartenenti ad una comunità, qualunque essa sia e con tutto ciò che comporta, hanno lasciato il posto ad una correlazione di opportunità ed alla trasposizione della loro essenza, in quelle commerciali di patner o di stake-holder. Questa è una delle regole imprescindibili dell’ideologia dominante e del suo management totalitario: tutto ruota attorno ad un interesseenunciatoci per il bene dell’Italia, per quello dei giovani, per il futuro, ecc… Facendo passare chi la pensa diversamente per un povero minorato mentale che può essere ancora recuperato !
 
 
“[…]Il consenso che ci governa è una macchina di potere per il fatto che è una macchina di rappresentazione. […]”
 
 
La stessa che pervade il pulviscolo della rappresentanza e della rappresentatività. Viviamo in un’epoca dove lo svolgere l’attività di ascoltare le istanze della popolazione, coincide con l’attrattiva delle rendite di natura privatistica, garantendo una stabilità e affidabilità, inesistenti. La rappresentanza è ormai una professione. Una messa in scena che tutti conosciamo con il nome di «democrazia rappresentativa» dalle origini liberali e borghesi. Fortemente imperniata sull’ideologia liberale, in special modo sugli assunti che indicano la democrazia e la rappresentatività quali fossero, erroneamente, un tutt’uno. Nell’epoca attuale, è il baluardo di un’antropologia dissociativa che indica il singolo, separato dalla collettività, come il perno centrale della società. Niente di più falso, per tentare di dissolvere una condizione di ciò che esiste, effettivamente e concretamente, soprattutto nel campo della sociologia. Come ha scritto giustamente Deneault, riferendosi alla governance ed alla mentalizzazione della rappresentatività per ridimensionare « il dibattito, costituzionale e sociologico, per immergere la coscienza storica in un’unità referenziale dettata da un élite, quella degli “esperti”», notiamo con piacere che è uno dei temi che abbiamo da tempo dibattuto.
 
 
“[…]Calare sul mondo i vocaboli del marketing politico segna la fine stessa del pensiero critico. […]”
 
 
Osservando la Quarta Teoria Politica, avevamo scritto che  «esiste un altro modo di intendere la Politica che esula dall’utilitarismo, dalla metodologia del “coaching” politico, della gestione-azienda e dell’economizzazione amministrativa della Politica». Nel capitolo Premessa 23. Assottigliare le parole e la loro cosa, ritroviamo un’interessante disamina su ciò che avevamo scritto, ripromettendoci di tornare sul pezzo il prima possibile. Lo faremo, ma intanto ne consigliamo una lettura attenta perché è di sicuro interesse, questo tipo di governamentalità e l’assoggettamento «a una autorità personalizzata –oggi un coach, un donneur de souffle, degli “atleti d’impresa” o anche un “guru” nel gergo del management», che obbediscono ad una mentalità già pre-esistente sul come intraprendere, «una guerra contro l’intelligenza e l’autonomia delle persone». Riuscendo così, a naturalizzare l’economia di mercato e il sistema economico globale, ispirato dal Capitalismo. L’autore ha pienamente decodificato il linguaggio comune delle «cleptocrazie», che sin dagli anni ’80 hanno dettato le tendenze nei linguaggi che la «parlamentocrazia» moderna ha assimilato alla perfezione. Basta ascoltare i discorsi della politica italiana, del fruttivendolo sotto casa, dei piccoli e fastidiosi arrampicatori sociali che infestano le nostre giornate. Il linguaggio delle élite è accessibile a tutti ma è un affare per pochi.
 
 
“[…] Per darsi credibilità, il teorico della governance si affretta a ridistribuire i ruoli in modo da assegnare a se stesso quello del ribelle. […]”
 
 
Conosciamo benissimo questo “giochetto” da prestigiatori mancati. La politica ma non solo, ci ha abituati alle critiche al «Pensiero Unico», attingendo a piè mani da discorsi molto interessanti sulla questione, salvo in realtà confermare, poco dopo, un conformismo alla mentalità del management totalitario. Un «doppio vassallaggio» che in “piccola” scala, abbiamo avuto modo di ascoltare prima, durante e in seguito ai fatti di Genova. Il quale, non risparmia i mezzi di comunicazione alle prese con i loro azionisti di maggior peso. Comprese, le castronerie sincopate dei vari Oliviero Toscani, Saviano et similia. Ma scomodiamo invece Aristotele che nel suo Metafisica, 1061b 34-1062a 23 ci ha visto lungo: «Dunque, non è possibile che le asserzioni contraddittorie, cioè le affermazioni e le negazioni, possano essere vere, insieme, di un medesimo soggetto». Un esempio lampante viene dalla tecnocrazia che siede a Bruxelles, dal modello procedurale al fine, all’insufficiente (pensate un po’…) rigore con cui tali dogmi sono messi in pratica, ai contraddittori «dispositivi di stabilità cognitiva» per salvare i popoli in difficoltà e per arginare l’immigrazione di popolamento. Tutte cose molto serie, diversamente dai semplici portatori d’acqua di una mentalità assolutistica.
 
 
L’autore, entra nelle pieghe della società occidentale e globale, descrivendo in modo particolareggiato la forma mentis, il gotha dell’intermediazione e della mediazione cui abbiamo lasciato decidere le nostre sorti, senza occuparcene in prima persona. Insomma, un saggio da leggere, per non perdersi definitivamente.
 
 
Alain Deneault
 
Governance. Il management totalitario
Neri Pozza Editore, Collana I Colibrì, 26/04/2018
Ppgg. 187, euro 16.00

Riguardo l'autore

francescomarotta

Francesco Marotta è coordinatore del Centro Studi G.R.E.C.E, Groupement de recherche et d’études pour la civilisation européenne in Italia, membro del Comitato Scientifico del Centro Studi OIKOS, autore della Rivista Diorama Letterario. Ha curato scritti ed opere di Ernst Jünger, di Alain de Benoist, Charles Péguy, Martin Heidegger, Julius Evola, Aristotele e Aleksandr Gel’evič Dugin. Collabora con i due magazine online Barbadillo.it ed Ereticamente.net. Già editore, i suoi saggi sono stati pubblicati su varie testate estere e in diversi volumi collettanei.