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Don Guareschi e l'onorevole Alcide De Gasperi

Giovannino Guareschi, il 20 e 27 gennaio 1954, pubblicò su Candido le fotocopie di due lettere firmate “De Gasperi“: la prima dattiloscritta è datata 19 gennaio 1944 e invitava il comando inglese di Salerno ad armare i partigiani e a compiere bombardamenti aerei sugli obiettivi militari della periferia di Roma per fiaccare il morale dei collaborazionisti. La seconda, scritta a mano e datata 26 gennaio 1944, avvertiva uno sconosciuto capo partigiano che gli aiuti sarebbero giunti presto e che si attendeva il colpo conclusivo da Salerno.

Ai primi di febbraio De Gasperi presentò querela contro Guareschi. Lo scrittore diede al Tribunale di Milano le due lettere procurategli da Enrico De Toma unite a una perizia calligrafica, che però non fu presa in considerazione dalle autorità.
Accettando i reclami espressi dal difensore di De Gasperi, il Tribunale di Milano non s’interessò minimamente ai documenti negli atti: rifiutò a Guareschi il compimento della perizia calligrafica e chimica e l’eventualità di udire le dichiarazioni sostenitrici dello scrittore circa l’origine e la credibilità dei documenti accollati a De Gasperi, tra cui quella di Andreotti. La spiegazione del Collegio giudicante sulle perizie fu la seguente: «le richieste perizie chimiche e grafiche si mostrano del tutto inutili, essendo la causa sufficientemente istruita ai fini del decidere».

Iniziato il processo, il 13 e il 14 aprile la seconda e la terza udienza ebbero luogo e il 15 arrivò la condanna a dodici mesi di carcere per diffamazione. L’autore parmigiano non fece ricorso e De Gasperi chiosò affermando al Corriere Lombardo: «Sono stato in galera anch’io e ci può andare anche Guareschi».

Il tribunale di Milano a sorpresa affidò a un collegio di tre periti l’esame delle due lettere, durante il processo mosso contro De Toma in renitenza nel 1956, e la conclusione fu che «non sussistevano prove tali da stabilire inconfondibilmente la falsità delle lettere». A quel punto ancora il tribunale delegò un quarto perito che rassicurò tutti affermando che le lettere erano «sicuramente false».
Guareschi venne recluso nel carcere di San Francesco del Prato a Parma, dove restò 409 giorni, con altri sei mesi di libertà vigilata per buona condotta. Coerentemente al suo pensiero, rifiutò ogni volta di chiedere la grazia, pur subendo un regime carcerario duro che lo segnò nel ritorno a casa.

La Procura di Roma, però, aveva accolto la richiesta di grazia eseguita da un insieme di grandi invalidi di guerra medagliati e De Gasperi aveva detto, meno di un mese prima di morire, di non opporsi. De Gasperi morì nell’agosto 1954: Guareschi scontava ancora la condanna. Scrisse magnanimamente in una lettera dal carcere del 20 agosto: «Mi ha invece rattristato la morte improvvisa di quel poveretto. Io, alla mia uscita, avrei voluto trovarlo sano e potentissimo come l’avevo lasciato: ma inchiniamoci ai Decreti del Padreterno».
L’altalenante legame di Guareschi con il potere costituito spesso ha dato occasione a dei contrasti. La cosa certa è che il suo carattere esuberante, beffardo e passionale gli abbia assicurato talvolta dei problemi con le istituzioni.

E’ indiscutibile che egli dovette confrontarsi con la presagibile opposizione della sinistra, a causa della sua manifesta contrarietà alle idee politiche del Partito Comunista; è evidente anche la mancata riconoscenza da parte di chi la sua penna aveva numerose volte aiutato, cioè il centrismo cattolico italiano della Democrazia Cristiana.

L’indignazione, allora come oggi, è palpabile. Da’ da pensare come tali episodi, così come molti altri speculari, di ricerca del vero, di volontà di far trionfare le proprie opinioni in forza di un ardore di giustizia, cozzano spessissimo con l’arroganza del potere che fa pesare la propria presenza con atti di prepotenza, uno uguale all’altro. Il dubbio sul perché di zittire una voce senza prove, resta ancora.

Pasquale Narciso