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Politica

Il ribaltone e il Conte bis passano dalla piattaforma Rousseau

Come promesso largamente dal capo politico del MoVimento 5 Stelle Luigi Di Maio, la decisione sul cosiddetto Conte bis passerà dalla Piattaforma Rousseau, ovvero lo strumento con cui la base grillina esercita la democrazia diretta, principio alla base del MoVimento stesso.

Sei d’accordo che il Movimento 5 Stelle faccia partire un Governo, insieme al Partito Democratico, presieduto da Giuseppe Conte?” è la domanda che verrà posta agli iscritti certificati con almeno sei mesi di “militanza” grillina. Una domanda oggettivamente onesta che tiene conto di tutti gli elementi alla base di questo ipotetico governo, ad eccezione dei punti programmatici che sembrano essere ancora in bilico o comunque disegnati per somme linee.

Tuttavia molti critici hanno segnalato una certa discrepanza tra questo quesito e quello precedente alla formazione del “Governo del Cambiamento” insieme alla Lega: all’epoca infatti la domanda posta fu “approvi il contratto del governo del Cambiamento?“, sfruttando l’entusiasmo dovuto al gran risultato elettorale. I vertici grillini hanno promesso che, insieme alla possibilità di votare, verrà presentato alla base anche il programma di governo ma risulta difficile credere che ci sia molto di cui discutere.

I grillini infatti non hanno osservato, in nessuna delle consultazioni e riunioni col PD, la procedura – che invece in passato veniva considerata come prioritaria – dello streaming. Le dichiarazioni, poi, sono risultate spesso contraddittorie, con Di Maio a smentire Grillo, Casalino a smentire Di Maio, Paragone a smentire tutti. Probabilmente le correnti stanno arrivando a una spaccatura tale al punto da ricorrere alla base per sciogliere il nodo gordiano dell’alleanza col nemico di sempre.

La piattaforma Rousseau è un mezzo che il nostro movimento politico ha deciso di utilizzare per prendere le proprie decisioni, pari ad una direzione di partito. Se dovessero prevalere i ‘no’, il Presidente del Consiglio incaricato dovrà sciogliere la riserva in modo negativo, non ci sono alternative” ha dichiarato oggi Stefano Patuanelli, capogruppo dei 5 Stelle al Senato, mettendo dunque in crisi l’accordo politico già raggiunto con i Dem. Una presa di posizione chiara e netta, che va a riportare equilibrio nell’elettorato pentastellato che in buona parte non vedeva di buon occhio un accordo con Renzi.

Resta il mistero di quanto cospicua sia però quella parte: difatti non è detto che il voto di Rousseau sia definitivo, poiché da Statuto uno tra Beppe Grillo e Luigi Di Maio – in quanto rispettivamente garante e capo politico del MoVimento – possono chiedere la ripetizione della consultazione, nella quale la maggioranza necessaria per la decisione si attesta a oltre il 50% degli iscritti. Una cifra significativa e che difficilmente potrebbe essere raggiungibile salvo prese di posizione nitide già al voto delle prossime ore. Più imponente sarà il fronte vincente, meno possibilità di chiedere una seconda votazione ci saranno.

A guidare il fronte anti-PD ci sono dei veri big del MoVimento: non solo Gianluigi Paragone ma anche Alessandro Di Battista, da molti considerato il successore di Luigi Di Maio ma che ha visto le sue quotazioni in drastico calo dopo l’ascesa di Giuseppe Conte. Un Conte che però perderebbe il polso della situazione qualora la base grillina dovesse votare contro l’alleanza col PD, riportando così in auge la figura di uno dei volti storici del MoVimento. Ma a quel punto, la strada da percorrere i grillini potrebbe essere solo quella di chiedere nuove elezioni, perché pensare di riformare un governo con la Lega di Salvini – passando tra l’altro per un’ulteriore consultazione di Rousseau – è ad oggi pura fantasia.

Chi ha più da rischiare, in questo momento, è Luigi Di Maio, che però è uno dei principali sponsor del voto su Rousseau: se il dare la parola alla base sia un moto d’orgoglio e rispetto dei valori del Non-Statuto pentastellato o una lavata di mani non è dato saperlo. Quel che è certo è che la scelta per i grillini, oggi, è tra due strade: governare “a tempo indeterminato” – probabilmente poco – con Renzi oppure tornare alle urne con Conte e Di Battista a suonare la carica.