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Charlie Hebdo: un anno dopo

Era il 7 gennaio del 2015 quando nella redazione dell’ormai noto giornale satirico “Charlie Hebdo“ fece irruzione un commando di due uomini armati con fucili d’assalto Kalashnikov. Quel giorno a morire furono in dodici, tra i quali il direttore Stéphane Charbonnier e numerosi vignettisti che già erano al lavoro sul numero che, dopo quegli accadimenti, non sarebbe più uscito.

I vignettisti scampati all’attentato, ospitati dalla redazione di “Liberation”, terminarono il lavoro iniziato dai colleghi scomparsi. Il numero fu distribuito in 1 milione di copie a diffusione internazionale, ottenne un successo mai avuto prima – probabilmente suscitato dall’onda mediatica per gli attacchi alla redazione. Esso uscì per testimoniare il lavoro che il giornale aveva fatto e che avrebbe continuato a condurre nei confronti della difesa alla libertà di pensiero e parola.

A distanza di un anno dalla ricorrenza di quei terribili fatti, oggi come allora, le prime pagine di tutti i giornali tornano a parlare di “Charlie Hebdo“ e questa volta in tono polemico. Poche ore fa “L’Osservatore” ha mosso polemica nei confronti della prima pagina che il giornale francese ha voluto pubblicare per commemorare i tragici eventi di un anno fa. Nel numero speciale si vedrebbe ritratta la figura di Dio in versione ‘cristiana’, con aureola e simbolo dell’occhio nel triangolo, che indossa una tunica macchiata di sangue e sulle spalle un Kalashnikov.

“L’assassino è ancora in giro”, recita beffardamente il titolo, ma Chiesa Cattolica e musulmani di Francia non hanno tardato a schierarsi contro. Forse ai clericali e ai fedeli musulmani non è piaciuto il tono satirico con cui il noto giornale ha voluto ricordare i fatti, eppure resta da chiedersi che ne sia stato del “Siamo tutti Charlie Hebdo”. Se appena un anno fa infatti erano in molti, istituzioni politiche e religiose comprese, a schierarsi dalla parte di Charlie, condannando i deplorevoli episodi di quel giorno, ecco che oggi agli stessi non è piaciuta la copertina del numero speciale del settimanale, assoggettandolo e condannandolo a manipolatore di fede, secondo quanto riportato da “L’Osservatore” romano.

“Charlie Hebdo“ sarebbe pertanto tornato a far ironia sulla religione, stavolta senza AllahMaometto, come invece era successo poco prima degli attentati nel gennaio scorso in una vignetta ritraente Abu Bakr al-Baghdadi, leader dello Stato Islamico. Ma “è il genere di polemiche di cui la Francia ha bisogno?” dichiarano i vescovi transalpini sul loro account Twitter ufficiale.

Non molto tempo fa Parigi è stata luogo di un secondo attentato, rivendicato dallo Stato islamico. E proprio il presidente del Consiglio del culto musulmano Anouar Kbibech si dice “ferito” dalla caricatura, che colpisce tutti i credenti delle diverse religioni in un momento in cui ci sarebbe invece bisogno di “segni di distensione”. Ma fino a che punto è giusto distendersi? E in relazione a quale compromesso? In limitazione a quale diritto di culto o parola?

Certo, la satira non deve mai oltrepassare quei limiti raffiguranti la “diversità di pensiero”, anche in virtù del rispetto e dell’impegno preso dai diversi esponenti religiosi, – e tra questi occorre ricordare il monito di Papa Francesco nell’affermare quanto la violenza sia sempre da condannare – ma nemmeno deve essere il pretesto in grado di far sfociare la diversità di pensiero in odio. Soprattutto se a “parlare” sono disegni inermi che di certo non hanno mai fanno male a nessuno.

Charlie Hebdo non è – e non era – un giornale qualunque. Era e tutt’ora rimane il simbolo del giornalismo anticonformista, in grado di non piegarsi a nessuno, preconcetti compresi. Le sue vignette beffarde facevano e continuano a fare male, ma di certo non sono ipocrite. Esse rappresentano un ideale, un concetto di libertà. E forse agli attentatori non sarà andato giù proprio lo spirito di libertà che ancora oggi questo giornale continua ad avere.

La mano degli stragisti “si era mossa animata dal fondamentalismo fanatico, dall’oltranzismo religioso, da chi non sopporta la laicità, la critica, le opinioni diverse, l’ironia. Sono nemici delle nostre libertà“ scriveva Michele Serra dalla sua rubrica sul Corriere della Sera. Noi da che parte stiamo ad un anno di distanza? Siamo ancora tutti “Charlie Hebdo”? E dire che basterebbe osservare la punta di una matita e quella di una pistola per continuare a notare la differenza tra civiltà e terrorismo.

 di Giuseppe Papalia

Riguardo l'autore

giuseppepapalia

Classe 1993. Giornalista pubblicista, consulente di comunicazione per i deputati al Parlamento europeo, corrispondente da Bruxelles. Una laurea in scienze della comunicazione e una magistrale in giornalismo con indirizzo “relazioni pubbliche” all'Università degli studi di Verona. Ha collaborato con alcuni giornali locali, riviste di settore e per alcune emittenti televisive dalle istituzioni europee a Bruxelles e Strasburgo. Con TotalEU Production dal 2019, ho collaborato in qualità di social media manager e consulente di comunicazione politica.

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