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Società

Dio strabenedica i simposi e le feste! E ci salvi dai Social Network

Sì, Dio strabenedica i simposi: quelli di Platone e Socrate, dove si parlava di filosofia e politica grazie all’alcol. E il perché è semplice, e dietro non c’è alcuna dietrologia libertina: ci si relazionava tra gli invitati. Un mondo, questo, che sembra stia svanendo. La causa? I Social Network

Un recente studio inglese dell’University College di Londra ha dimostrato, prendendo un campione di circa novemila e settecento persone tra i sedici e i ventiquattro anni, nell’arco di tempo tra il 2005 e il 2015, che sempre più giovani inglesi evitano di bere alcolici, dichiarandosi astemi. I risultanti non sono esaltanti: alla fine della ricerca si parla di una percentuale ferma al ventinove percento. E pure la sbronza è diminuita: si è passati da un ventisette per cento, ad un drastico diciotto.
Numeri troppo bassi? Troppo alti? Sia l’uno sia l’altro: questi dati possono essere letti sotto diversi punti di vista; i ragazzi e i giovani adulti, finalmente, hanno capito che l’alcol non è tutto, e che non è un vero divertimento quello che si cerca sbevazzando in giro, rischiando il coma etilico. C’è, però, un ma: e cioè, che accanto a questa diminuzione, si osserva l’incremento di un altro fenomeno decisamente più preoccupante. La dipendenza da social network.
Le notifiche, i like e i commenti, e i followers sono la nuova droga, il nuovo bisogno fisiologico. Magari non ledono il fegato, non corrodono i neuroni o non nuociono ai polmoni come invece fanno l’alcol, le droghe o il tabacco; hanno un altro effetto: l’alienazione. I social rendono la vita, ed ecco il paradosso, meno sociale, e più individuale. Il vino e la birra fanno sì che invece le serate siano più interessanti. Sono dei veri e propri aggregatori sociali.
Senza scadere nell’eccesso? Ma anche no, per carità: evitiamo il puritanesimo perbenista, e forse anche ipocrita. Consumare alcolici non è un’usanza nata di recente; e anzi, già dall’antica Grecia – se non prima – il vino, in particolare, era la bevanda per eccellenza da servire ai simposi, questi ritrovi dove si discuteva di filosofia e politica senza esser particolarmente lucidi.
I greci e i latini avevano addirittura una divinità consacrata, si fa per dire, al vino e ai suoi effetti: Dioniso, che tanta parte ebbe pure nei riti misterici della Grecia profonda e delle sue colonie. E nelle tragedie, come Le Baccanti di Euripide. Excursus letterari a parte, quello cui si sta assistendo oggi è un trend bislacco, su cui nessuno francamente avrebbe scommesso. Anche perché, semmai, la percezione porterebbe a pensare il contrario.
Ma non è una risposta reazionaria dettata da un’etica “bigotta e conservatrice” ad un mondo che i giovani d’oggi non riconoscono, o da un anticonformismo sui generis. Niente di tutto questo: il crescendo degli astemi può, anzi dev’essere visto sotto un altro aspetto; e ritorniamo a parlare dei social.
Che tolgono ogni tipo di contatto: si condivide il momento, lo si fossilizza per sempre su Facebook, su Twitter o su Instagram. Senza viverlo, o assaporarlo, rimanendo imbambolati sullo schermo in attesa di qualche notifica, isolati nel proprio account farlocco e lontano dalla realtà. Ma c’è un problema, e per vederlo è necessario rovesciare totalmente questo discorso, anche sfiorando la contraddizione di quanto appena scritto.
Ed è, per l’appunto, l’utilizzo di queste diaboliche piattaforme: mostrare una vita che non si vive. O meglio: voler copiare uno stile di vita che sembra controverso e trasgressivo, ma che si rivela, in realtà, dannatamente conformista. Serate in discoteca, feste, e alcool. E sbronze. Tutto standardizzato, uguale e ripetibile. Ma da condividere ugualmente sui Social. Perché altrimenti non sei nessuno.
E sì, pure dell’alcool: perché a dispetto dello studio accennato poco sopra, in realtà il vino, la birra e i superalcolici, quelli che una volta si chiamavano ammazzacaffè, sono ancora molto diffusi tra i giovani, nonostante sia in calo il loro consumo. Ma l’uso, va da sé, è, piuttosto, molto estetico: di circostanza, modaiolo.
Per intenderci, il convivio, il simposio – quello originale e genuino, autentico tempio del sacro e del profano – si sta estinguengdo, o forse si è già estinto; e al suo posto appaiono in tutta la loro prepotente mediocrità le rovine di un mondo in cui la vita non era piatta e traviata da una moda borghese come quella dell’ubriachezza fine a se stessa.
La trasgressione, che è moda e conformismo, viene pubblicata in internet e in mondovisione. Manca, e qui casca l’asino, la segretezza, l’intimità della serata; la bellezza della festa, del baccanale, è proprio nell’assenza di narrazione verso l’esterno di ciò che accade. Ha un che di mistero, religione ed esoterismo profani si mescolano: e il connubio non è che questo, il simposio per eccellenza.
Perciò, ritorniamo al segreto delle nostre serate, passate tra amici e tra amanti, senza sfoggiarle su internet, e al brindisi. E non cediamo, di nuovo, alla retorica perbenista e puritana, dove l’alcol viene dipinto come il male assoluto, da evitare a tutti i costi: quello è l’uso smodato dei social network, quest’appendice maledetta da cui l’uomo, ormai, dipende in tutto e per tutto.
L’eccesso alcolico si deve evitare, è chiaro, come pure perdere il controllo di noi stessi quando beviamo; e anche rendere pubblico il numero di bicchieri, o di shot, già bevuti. Ma Dio strabenedica ora, e per sempre, l’alcol, caro a Dioniso, ai greci e ai latini: perché in un mondo sempre più social, e meno sociale, e sempre più freddo, scontato e banale, soltanto il vino – o la birra – potrà salvare l’uomo da se stesso, e dalle sue ombre.
Alessandro Soldà