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IL MAIALE COME NOSTRO SIMBOLO NAZIONALE

Disprezzato, amato, simbolo dell’infedeltà, ma anche di una scarsa attenzione alla igiene: è questa l’immagine del maiale che però rientra a pieno titolo tra i simboli del “Bel Paese”. La storia del mammifero si unisce alla nostra sin dai tempi antichi. “Suillum pecus donatum  ab natura dicunt ad epulandum“, che tradotto significa: “Dicono che il suino ci sia stato dato dalla natura per godere la vita“. Queste erano le parole usate da Marco Terenzio Varrone nel “De re rustica”. L’opera, scritta nel 37 a.C., aveva come scopo quello di sensibilizzare l’opinione pubblica dell’antica Roma sull’uso proficuo e vincente delle campagne; erano passati pochi anni dalla Guerra Civile che aveva coinvolto Cesare e Pompeo. Il nostro Paese ancora risentiva di quel fratricidio, sopratutto nelle campagne. Varrone sarà inoltre il primo autore che descriverà correttamente l’impasto di un salume, precisamente della salsiccia prodotta in Lucania, appunto la “lucanica”.

Anche Apicio, famosissimo cuoco nella Roma del Basso Impero, nel “De Re Coquinaria” celebrò le ricette a base di carne di maiale dato che il suo uso era nettamente prevalente rispetto a quelle di altri animali: “Può essere realizzato con carne di maiale cruda o prosciutto di spalla, che riduce di molto la cottura. Lessare la carne di maiale e tagliarla poi a cubetti come per uno spezzatino. Intanto preparate delle polpettine di carne tritata. Mettete a cuocere i cubetti di maiale e le polpette in una casseruola nella quale avete fatto soffriggere olio, garum, porri e coriandolo tritati. Fate insaporire poi bagnate con un po’ di brodo e fate cuocere. A metà cottura aggiungete mele tagliate a pezzi. Poco prima della fine della cottura aggiungete un condimento preparato con pepe, coriandolo, menta, olio, aceto e miele e ispessite con della farina”. La ricetta era quella del maiale alle mele, un piatto particolarmente apprezzato nei celebri banchetti da lui preparati.

L’avvento delle religioni monoteiste mise in crisi il consumo di questa carne. Se l’islamismo e l’ebraismo vedevano nel maiale il male, lo stesso valeva per il cristianesimo. Nel Vangelo viene visto come il ricettacolo della lussuria, dell’ingordigia, della sensualità e di Satana. Nel famoso “Discorso della montagna”, Gesù esortò: “Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi”; nella parabola “Gl’indemoniati di Gadara” Cristo incontrò due indemoniati furiosi che lo scongiurano affinché venissero liberati. Sono i demoni stessi a parlare in loro e ad implorare Gesù di scacciarli e di mandarli in una mandria di porci che pascolavano lì accanto. Così egli fece, “ed essi, usciti dai corpi degli uomini, entrarono in quelli dei porci: ed ecco tutta la mandria si precipitò dal dirupo nel mare e perì nei flutti”.

L’eliminazione di un simile alimento dalle cucine europee e sopratutto nostrane si dimostrò però impossibile, nacque quindi una tolleranza che è durata sino ai giorni nostri.

Nel Medioevo si rafforzò la figura dell’allevatore di maiali, il porcaro, che viene persino citato e glorificato nell’editto di Rotari del 643 d.C. Nel documento giuridico si affermava infatti che: “… se qualcuno avrà ucciso un porcaro altrui, paghi soldi 50, mentre per quanto riguarda uno dei sottoposti si paghino soldi 25. Per l’uccisione di un pecoraio, capraio o bovaro, si paghino soldi 20 se è il capo”.

Ma perchè vi fu una simile affermazione nelle tavole italiane? Le carni suine, contrariamente ad altre, erano alla portata di una popolazione povera. Al contempo erano ricche di nutrimenti e non necessitavano di elaborate preparazioni. Altro fattore importante, è che del maiale, allora come oggi, non si butta via niente; un fattore da non sottovalutare.

Roberto Finzi ha scritto nel 2014 un libro dal titolo “L’onesto porco – Storia di una diffamazione”. Una rivisitazione storica di un animale che conosce alterne fortune. Può essere, come qui sopra affermato del resto, come simbolo di ogni vizio, o animale da compagnia e d’affezione, come in sant’Antonio. Finzi afferma anche che il divieto di mangiare carne di maiale non è motivato nella Bibbia in maniera irreprensibile; questo trova la sua affermazione nella pericolosità  del cinghiale, animale rinomato per la forza e l’aggressività. L’opera di Finzi non è un semplice libro di solamente 161 pagine, l’introduzione porta la firma di uno dei più grandi scrittori italiani viventi: Claudio Magris. 

Discriminazioni, odi religiosi e banchetti vari il maiale resta però uno dei simboli nel nostro Paese. Chi non andando a una sagra nell’Italia dei cento campanili, o in qualche altro evento, del resto non si mangia una salamella, una puntina o un panino con la mortadella?

Michele Soliani